Il sentiero filosofico dei sogni
Testo di: Paola Grassi
Esiste un luogo in California dove l’oceano incontra la terra, un luogo dove gli elementi si fanno custodi di un’energia antica e ne perpetuano la forza da tempo immemorabile. Questo luogo è Esalen. E questo è il nome della preistorica tribù di indiani pellerossa che riconobbero come dimora sacra i promontori di Big Sur. Quello stesso luogo che ora giace sotto il famoso ponte che ispirò a Jack Kerouac uno dei suoi più intensi racconti di solitudine e meditazione a contatto con la natura.
Esalen tuttavia non è l’argomento di ciò che leggerete qui di seguito — vi sono capitata per caso, ancorché non a caso (come avrei capito soltanto dopo); ne è piuttosto la potente e quasi ineluttabile cornice. Presso l’Esalen Institute di Big Sur, infatti, ho frequentato qualche estate fa un seminario condotto da Pierre Grimes su quella che in italiano non saprei rendere se non con l’articolata espressione di «esplorazione dei sogni con l’arte della maieutica» e che in inglese semplicemente si chiama philosophical midwifery.
Insolito quanto intenso personaggio, Pierre è un filosofo nella accezione più carnale ed autentica che ci si possa rappresentare. Socrate redivivo, mi verrebbe da dire, se ciò non risultasse un tantino iperbolico. Questo uomo grande, che nella vita fa il professore di Filosofia al Pacific College e nel tempo libero coordina gruppi di discussione filosofica presso i centri di alcolisti anonimi e tiene corsi gratuiti per adolescenti di basso reddito nella parte povera della contea di Orange, è da sempre il mio preferito fra i pionieri di quella forma del filosofare cui ci siamo abituati a rivolgerci con il nome di pratica filosofica.
Ciò che riconosco come il grande merito di Pierre è quello di avere riportato in vita la filosofia di Platone, e con ciò intendendo che egli ha riportato «nella vita» il discorso filosofico platonico, restituendo ad esso alcune fondamentali condizioni di praticabilità nel contesto delle azioni più semplici e quotidiane. Quello di cui scriverò qui sotto è ciò che da lui ho appreso nel corso di dieci intensissimi giorni passati ad Esalen, e nel corso di una fitta corrispondenza che, da un capo all’altro del mondo, continua ancora oggi.
Il discorso filosofico di Platone
Il discorso filosofico platonico si alimenta di una precisa intenzionalità che consiste nel predisporsi ad apprendere come si fa a «vivere in modo filosofico», la volontà — per lo più comune ad un gruppo di individui, di portare avanti la ricerca della verità: ovvero nel ricongiungersi, pur stando nel «mondo di sotto» (under-standing, come la lingua inglese con semplicità ci aiuta ad intendere) con ciò che è, perfetto ed eccellente, nel «mondo di sopra».
L’intenzione di vivere in modo filosofico è una disposizione interiore che coinvolge tutto l’essere e che Platone chiama la «via meravigliosa». Chi scelga di inoltrarsi su questo sentiero sa bene che si tratta di un genere di vita che non solo presuppone uno sforzo considerevole, ma che tale sforzo necessita di essere ogni giorno rinnovato.
Il genere di vita che condurrà chi scelga di inoltrarsi sul sentiero della comprensione, consiste nel vivere ogni giorno in modo da diventare il più possibile padroni di se stessi, e a tal fine nel coltivare un certo numero di pratiche spirituali che si estendono dalla osservazione di un certo regime alimentare, alla esercitazione della parte più elevata dell’anima, per esempio dedicandosi a discorsi interiori e a ricerche che vertano su soggetti elevati, meditando e dialogando con chi persegua il medesimo fine. E’ nel novero di queste pratiche della cura di sé che trova spazio anche la pratica della preparazione al sogno.
La preparazione dei sogni
La pratica della purificazione dell’anima in vista del sogno ha radici nell’epoca del filosofare pre-platonico: sognare per i pitagorici significava entrare in contatto con un mondo divino di immortalità e di «al di là» rispetto alla morte, — quello che in Platone diverrà il mondo delle Idee e della verità. Per accedere a questo mondo di perfezione ed eccellenza era necessario per Pitagora prepararsi attraverso una serie di pratiche rituali destinate a purificare l’anima e renderla capace di comprendere i messaggi da quel mondo provenienti.
Tra le molte tecniche di purificazione che fiorirono in seno alle comunità pitagoriche si ricordano l’ascolto della musica, l’inalazione di profumi, e naturalmente il riesame della giornata trascorsa, riconoscendo le eventuali manchevolezze eventualmente commesse e così liberarsene per mezzo dell’atto stesso della rammemorazione.
Platone, nel Libro IX della Repubblica, afferma che il grado di indifferenza nei confronti dello studio dei propri sogni è proporzionale per l’individuo al grado in cui i desideri irrazionali dominano la sua vita. Il caso estremo culmina là dove il tiranno agisce i propri sogni ad occhi aperti, che diventano per i suoi sudditi un orribile incubo. Per Platone l’antidoto per un vita di fantasia governata da desideri non necessari è lo studio dei sogni.
Lo studio dei sogni nella Repubblica
Socrate, voce narrante e protagonista del dialogo, all’inizio del Libro IX, è impegnato con uno dei suoi interlocutori, Adimante, ad esaminare in che modo l’«uomo democratico» — l’uomo del demo, si trasforma in «uomo tirannico»: ovvero come, evolvendosi dal democratico, una volta che si sia formato, quali ne siano i caratteri e che tipo di vita conduca, se egli sia felice o infelice.
Prima di inoltrarsi nel dettaglio di questa trasformazione, tuttavia, gli sembra di non avere definito in maniera soddisfacente quali e quanti siano i desideri o, come li chiama qui, gli epithumiai. L’atmosfera che predomina è ancora quella del Pireo, la parte bassa della città di Atene, da dove Socrate cerca di risalire, con poco successo, sin dalle prime battute del dialogo. Come se i suoi interlocutori lo volessero trattenere giù, là dove dimorano i desideri ferini, quelli della parte bassa dell’anima, in una potentissima analogia fra la polis e la psyché.
Tra i piaceri e i desideri superflui o non necessari, afferma Socrate, taluni sembrano contrari ad ogni legge, e li definisce paranomoi, con ciò intendendo qualcosa che trasgredisce il nomos inteso come principio di ragionevolezza e capace di regolare la vita pubblica (quella della città) e la vita privata (quella dell’anima).
Forse questo genere di desideri insorgono in ognuno, afferma Socrate, ma forse, ipotizza, se essi vengono aiutati dalla ragione e contrastati da desideri migliori, in alcuni uomini svaniscono completamente o restano pochi e deboli, mentre in altri, — come è il caso del tiranno, divengono più vigorosi e numerosi.
Questi desideri sono quel tipo di desideri, li chiameremo i desideri dell’«uomo d’apparenza», il tiranno appunto, che si risvegliano durante il sonno, quando l’elemento ferino e selvaggio dell’anima è ebbro di immagini, «pieno di cibi e di bevande», e resiste al placido addormentarsi. In un simile stato di ebbrezza, la parte irrazionale dell’anima ardisce ogni cosa e «come sciolta da pudore e prudenza», non la imbarazza affatto tentare nell’immaginazione di accoppiarsi con la madre, o con qualunque altra creatura umana, divina o bestiale, e — in uno scenario quasi edipico, nemmeno prova il minimo scrupolo nel commettere assassinio.
Non è così invece, continua Socrate, quando un individuo abbia in sé il senso della legge e della misura, e si conceda al sonno solo dopo aver destato la parte razionale: ossia dopo averle offerto un banchetto di nobili discorsi e meditazioni, dopo averla nutrita con discorsi buoni ed essersi concentrato in un’intima e personale riflessione.
Si noti bene come quella di Platone non sia una ascetica della immaginazione, ma una ragionevole somministrazione di immagini: la preparazione al sonno infatti non consiste nell’affamare la parte bassa dell’anima, e nemmeno nel troppo riempirla per farla rimanere assopita, ma nel lasciare invece che, sola in se stessa e nella sua purezza, indaghi e cerchi di scoprire ciò che ignora, appartenga esso al passato, al presente o al futuro.
Il tiranno sarà dunque colui, conclude Socrate, che vive nello stato di veglia così come si comporta l’anima irrazionale nello stato di sogno, e allora non vi sarà delitto per quanto orribile, né opera da cui egli si astenga. E sotto la tirannide dei propri desideri, l’uomo tiranno — a differenza dell’uomo del demo che è guida di se stesso secondo il principio di ragionevolezza, vive solo e governato dai propri desideri: schiavo di schiavi in casa sua e serrato in una acropoli che non è più sua.
L’arte della mieutica
E’ questione di pesi e misure, ancorché nel senso più autenticamente matematico-geometrico, anche quella del dialogo platonico ove compare il discorso sulla maieutica, e sto parlando del Teeteto.
Sollecitato da Socrate a dare una definizione di conoscenza, il giovane protagonista Teeteto afferma di non riuscire a trovare risposte, per quanto non riesca a «rinunciare al desiderio di trovare una soluzione», affermazione che induce Socrate a dire di lui che egli ha «le doglie del parto», chiaro segno che egli non è «vuoto, ma gravido».
E’ con questa immagine che Socrate introduce il paragone tra il mestiere della levatrice che fu di sua madre, Fenarete (che significa letteralmente «portare alla luce»), e la sua propria attività filosofica, affermando che egli professa «la stessa arte». Solo sforzandosi di capire tutto ciò che riguarda le levatrici, Teeteto comprenderà più facilmente quello che Socrate vuol dire, poiché nessuna donna che sia gravida e deve partorire può fare da levatrice alle altre, ma soltanto le donne non più fertili e ormai sterili possono aiutare quelle gravide a sgravarsi.
Socrate è simile alle levatrici poiché egli è sterile di quel sapere che definiremmo tecnico (come quello dei sofisti, ad esempio, o dei tiranni), e così come solo le donne ormai sterili sono in grado di far generare i corpi delle donne, egli è in grado di far generare le anime degli uomini. E non solo, ma così come le levatrici combinano matrimoni mettendo il simile accanto al simile, egli mette i giovani insieme ai giovani, li raccoglie accanto a coloro che potranno «con la loro amorosa presenza» aiutare le loro anime a diventare migliori.
Tuttavia, v’è una importante differenza tra l’arte della levatrice e la maieutica socratica e consiste in ciò: che mentre la levatrice fa venire alla luce un corpo da un corpo, Socrate assiste l’anima che può mettere alla luce tanto qualcosa di fertile e di vero così come idee morte ovvero immagini menzognere.
Così la maieutica socratica è superiore all’arte della levatrice, poiché consiste nel mettere alla prova le anime dei giovani per verificare che partoriscano non idee morte (o false), ma idee vive (o vere). La maieutica non è quindi uno strumento per trasmettere un sapere predefinito che Socrate comunque non possiede, ma è un metodo per facilitare i giovani nella scoperta di verità che sono già latenti nelle loro anime.
L’esplirazione dei sogni con l’arte della maieutica
E’ nella cornice dei concetti platonici che ho illustrato fino a questo momento che per il mio personalissimo guru californiano (ed uso questa espressione con affetto e per allontanarne lo spettro) è stato possibile restituire vita a quella che propriamente si chiama maieutica filosofica. E quella per riferirmi alla quale in italiano uso l’espressione un pò complessa di «esplorazione dei sogni con l’arte della maieutica» è una particolare procedura filosoficamente orientata che concreta nel tempo presente quegli antichi concetti.
La «maieutica filosofica» è in buona sostanza un adattamento della maieutica socratica e come Socrate con la sua arte assiste i giovani uomini a sgravarsi dalle idee morte, così il filosofo maieuta aiuta gli uomini e le donne a sgravarsi di quelle che si chiamano «false credenze» o, con un conio sul greco antico, pathologoi, qualcosa che si potrebbe approssimativamente rendere con «credenze ammalate».
Le false credenze sono responsabili di quel senso di insoddisfazione e fallimento che spesso ci crea disagio e paralizza la nostra volontà rendendoci improduttivi: mediante la esplorazione di un sogno (ma è un metodo che si adatta anche a situazioni complesse che viviamo nello stato di veglia), l’intenzionalità di questa procedura è come nel discorso filosofico di Platone quella di diventare padroni della propria vita coltivando la ragione.
Lo scopo di questa metodica è quello di scoprire come si è costruita quella «maschera di sé» che indossiamo nostro malgrado, al fine di contrastarne la procrastinazione con atteggiamenti invalidanti. L’esplorazione di situazioni, sogni e immagini, — il cui ambiente ideale è un gruppo di persone, si realizza su molteplici livelli di linguaggio o per restare nel conio dal greco, logoi.
In una fase intima e propedeutica, il sognatore viene invitato a verbalizzare il proprio sogno registrandolo su supporto audio e contestualmente a metterlo per iscritto; successivamente, magari dopo avere meditato o essersi dedicato ad una qualche pratica della cura di sé, come ad esempio la ginnastica del corpo, al sognatore è richiesto di riascoltare quanto narrato su supporto audio e di confrontare quanto riascoltato con quanto redatto per iscritto.
Qualcuno potrebbe giudicare questo insieme di azioni inutilmente articolate, ma è piuttosto interessante verificare nella pratica quanto si riesca ad apprendere di sé muovendosi tra diversi tipi di modalità espressiva a parità di contenuto. Quest’ultimo in effetti si arricchisce di sempre nuovi elementi a mano a mano che ci si muove dalla narrazione alla scrittura e dalla lettura all’ascolto.
La fase plenaria vedrà quindi un gruppo di persone che si incontrano attorno ad una lavagna a fogli mobili sulla quale il filosofo maieuta farà scorrere la propria mano guidata dal sognatore: quest’ultimo leggerà il proprio sogno, e il facilitatore comincerà a rappresentarne le sequenze più importanti attraverso immagini molto neutre e minimali e soprattutto il più possibile scevre da interpretazione.
Quindi il sognatore racconterà nuovamente il proprio sogno, questa volta senza leggere, cominciando ad interagire sia con il filosofo maieuta che con il resto del gruppo, il cui ruolo sarà quello di porre domande al fine di rendere intellegibili alcuni elementi di senso: la ambientazione, gli attori, le sequenze temporali, ma soprattutto lo stato d’animo provato nel sogno.
L’attenzione viene rivolta prevalentemente alle parole impiegate dal sognatore e i criteri di valutazione sono la familiarità e l’intensità: in tal senso il facilitatore rivolgerà al sognatore domande del tipo «ti è familiare questo stato d’animo?» con particolare riferimento ai momenti di maggiore coinvolgimento focalizzando l’attenzione sul modo in cui gli attori principali funzionano nella logica del sogno.
Conclusione
Il punto di valore di questa pratica filosofica consiste nel gesto non interpretativo. Esplorare non è interpretare, il che significa che il filosofo maieuta semplicemente accoglie l’invito del sognatore ad entrare nel suo proprio «mondo di dentro» e lo accompagna guidandone l’osservazione e aiutandone la descrizione.
Colui che accompagna nel processo esplorativo non interviene con elementi esterni ed estranei: il lavoro della comprensione e lo sforzo ad esso correlato di cui si diceva all’inizio è tutto del sognatore al quale ogni nuova sessione disvela qualcosa del proprio mondo interiore.
Il lavoro sui sogni non è compiuto con l’ausilio di elementi di significato di valore archetipico universale, come nel caso della psicologia del profondo. Ciò che accade è che colui che sogna potenzialmente accede ad un luogo archetipico che è il suo proprio, platonicamente inteso come «ciò che è».
Questo luogo di autenticità che ci precede si palesa ai nostri occhi e dimorando per un po’ nell’atmosfera del sogno in un clima di condivisione, quello che ci portiamo a casa è un frammento di noi da custodire insieme ad altri frammenti raccolti su altri sentieri della comprensione che non sono quelli del sogno.
L’architetto, o meglio l’artigiano dei nostri sogni — il craftsman o Dream Master, nel demiurgico lessico di Pierre Grimes, ci concede ogni notte la possibilità di prendere contatto con ciò che siamo in verità. Ed esplorare i sogni con l’arte della maieutica significa scoprire che la mente è amica dell’uomo poiché essa crea — con una perizia che è simile a quella dell’artigiano, i nostri sogni aprendoci la via di una trasformazione che ogni notte si rinnova.