Formazione olistica planetaria
Testo di: Antonio Sbisà
Il concetto di formazione olistica implica l’assunzione di specifici orientamenti emersi sia nelle scienze sia nella nuova spiritualità. Il termine ‘olistico’ si basa sulla convergenza fra i dati delle scienze degli ultimi decenni e le ispirazioni del pensiero antico e rinascimentale. Il contenuto riguarda la considerazione della persona e della natura come di un tutto armonico ed una diversa conseguente concezione della realtà. Formare la persona come una totalità significa sviluppare l’autonomia di ogni singola parte del nostro essere, ed armonizzare il funzionamento complessivo in una direzione di crescita permanente come sviluppo del potenziale umano. Questo implica considerare gli obiettivi e le condizioni in cui sia possibile realizzare un progetto formativo che liberi e sviluppi le potenzialità del pensare, del sentire e del volere, come possibilità concreta per ogni essere umano.
La scissione fra la mente ed il corpo e le emozioni non rappresenta una improvvisa malattia di cui ci siamo accorti in questi tempi. Rappresenta sia la direzione fondamentale dei processi scolastici ed educativi, sia la condizione di funzionamento del lavoro, della cultura, delle istituzioni, delle relazioni. Ritrovare l’autonomia delle potenzialità del corpo e dell’anima, potenziare le sfere del volere, del sentire e del pensare, è un progetto che non può riguardare soltanto l’educazione e le terapie, ma la trasformazione di tutto il sistema sociale. La formazione olistica dell’essere umano implica un mutamento radicale del rapporto fra l’uomo e la natura e del sistema sociale che finora si è basato sulla loro opposizione.
Occorre pensare quindi ad una trasformazione totale del sistema sociale, attraverso il pensiero critico, la consapevolezza, l’ansia morale, la sperimentazione alternativa, la costruzione di una nuova società, basata sull’armonia fra l’uomo e la natura, fra la ragione, i sensi, lo spirito ed il mistero del cosmo. Tutto questo sembra inevitabile, se l’umanità non vuole autodistruggersi insieme al pianeta che l’ha gentilmente ospitata.
“La stessa simultaneità consente (pur in modo ineguale) il confronto degli ineguali e pone sotto gli occhi di masse sterminate la tragica realtà dei paesi poveri e quella spesso solo esteriormente ‘florida’ dei paesi ‘sviluppati’, proiettando su una sorta di immenso schermo visibile a tutti le immagini della fame e della oppressione, le miserie del mondo preindustriale e il falso splendore delle megalopoli che riproducono al loro interno, in forme spesso ancor più assurde e degradanti – nella stratificazione e nel conflitto delle classi sfruttatrici e sfruttate – i contrasti fra sovrabbondanza e indigenza, fra sviluppo e sottosviluppo che emergono nel confronto fra le comunità nazionali ad alto reddito globale e quelle collocate ai limiti della sopravvivenza. “ (Granese A.)
Sarà facile allora comprendere come proporre delle verifiche nel rapporto fra la razionalità e lo sviluppo complessivo dell’umanità. Secondo Moore, si potrebbero indicare come irrazionali gli obiettivi politici che aumentano la sofferenza e l’infelicità, e come razionali gli obiettivi politici che tendono a diminuire l’infelicità. Le forme della sofferenza cui allude l’autore sono la fame, la fatica, l’oppressione, l’ingiustizia.
“Nelle aree progredite abbiamo una tecnologia che viene prodotta per distruggere altre persone. Nei suoi altri impieghi la tecnologia rende la vita più comoda e piacevole, ma nel contempo tende rapidamente a rendere il pianeta inadatto alla vita degi uomini. E’ una combinazione che fa pensare che forse l’homo sapiens si stia avvicinando alla fine del suo cammino evolutivo e sia destinato all’estinzione.“ (Moore B. jr)
Il rinvio alle cause sociali vede ancora in primo piano il capitalismo ed i suoi obiettivi di profitto e di potere.
“il capitalismo tramonterà non per ragioni morali, religiose o rivoluzionarie, ma perché, inseguendo esclusivamente il profitto che è la sua ragion d’essere, non può che pervenire alla distruzione della Terra che è la base per il conseguimento del profitto.
Naturalmente distruggendo la Terra il capitalismo distrugge se stesso, mentre se salvaguarda la Terra non può più inseguire esclusivamente il profitto come ha sempre fatto, ma dovrà servire un altro padrone: la tecnica a cui oggi è affidata la vita dell’uomo sulla Terra. La tecnica, a cui nulla importa del profitto, obbliga quindi il capitalismo ad assumere un fine diverso dal semplice profitto che il capitalismo ha sempre inseguito. E se il capitalismo non prende coscienza di questa necessità e non incomincia a servire la tecnica che salvaguarda la Terra, finisce col distruggere, oltre alla Terra, anche se stesso. E già si vedono le avvisaglie della compromissione delle condizioni della terra e dell’arrancare del capitalismo. “ (U. Garimberti)
Per salvare il pianeta, per cercare di realizzare le potenzialità della specie umana, non sono sufficienti i timidi tentativi che pure giustamente stanno crescendo: l’attenzione ecologica all’ambiente, l’attenzione alla salute ed all’alimentazione, il contenimento potenziale di consumi eccessivi. Occorre pensare a ristrutturare totalmente le sfere del lavoro e delle istituzioni, le sfere degli istinti e delle emozioni, delle fantasie e dei valori, dei sensi e dello spirito.
Paolo Orefice (Orefice P. (2003), La formazione di specie, Milano: Edizioni Guerini. Paolo Orefice, professore di Pedagogia Sociale presso l’Università di Firenze, dove dirige la Scuola di Dottorato di Scienze della Formazione. Il suo principale filone di ricerca, teorica e sperimentale, è la teoria locale dei processi di conoscenza e di formazione. Cfr. Orefice P., I domini conoscitivi. Origine, natura e sviluppo dei saperi dell’Homo sapiens sapiens, Roma, Carocci, 2001) si domanda come sia possibile ipotizzare e praticare una formazione che possa realizzare le potenzialità di tutti gli esseri umani. Il nuovo possibile umanesimo planetario ‘impone la piena valorizzazione delle possibilità conoscitive di ciascuno e di tutti gli esseri umani’ ed in particolare di tutti gli individui, gruppi e popoli che sono rimasti lontani ed a cui è stata impedita questa formazione’. La realtà sociale è però caratterizzata dalla scissione fra il pensare ed il sentire. Oggi la formazione contribuisce a formare ‘menti scompensate, divise e alienate’, oppure menti impegnate nella gestione razionale, ‘fredda’. Ma ci sono anche menti sollecitate da saperi ‘caldi’, lontani ancora da elaborazioni concettuali articolate. L’auspicio è che i percorsi della formazione possano integrare ‘i versanti conoscitivi del sentire e del pensare’ ‘liberando le potenzialità di conoscenza e di comunicazione delle donne e degli uomini, a qualunque società e cultura appartengano’, sia nell’istruzione planetaria che nell’educazione sociale.
Io aggiungerei all’auspicio la liberazione e la maturazione anche della dimensione del volere: pensiamo al mondo degli ideali, delle aspirazioni, delle scelte, delle azioni, della creatività. Pensiamo alle forme della morale e della spiritualità. Pensiamo alla formazione del carattere, alla capacità di gestire le emozioni ed i sentimenti, alla capacità di sopportare e tollerare le avversità, di sfidare e tendere le capacità. Il volere riguarda la possibilità per tutti, di avere il desiderio, la volontà e la capacità di realizzare le potenzialità della nostra natura. Un modello di formazione olistica implica la realizzazione di una diversa evoluzione della natura umana e del suo rapporto con la realtà. Di conseguenza si pone come partecipazione diretta alla formazione della realtà come evoluzione e creazione.
La formazione globale della persona implica lo sviluppo del corpo, dei sensi, e delle realtà vissute come anima e come spirito, insieme alla ragione ed alla conoscenza. Questo implica un’azione formativa in cui ogni elemento, il corpo, il sentimento, la ragione o lo spirito, non prevalgano come privilegio, come esclusione, come esauriente giudizio di valore e attribuzione di significato. Abbiamo l’esigenza di sviluppare contemporaneamente le capacità e le potenzialità attive, la volontà e la ragione, e quelle ricettive, le facoltà non intellettive, dai sensi, all’immaginazione. Hillman (Cfr. Hillman J. (2003), L’anima del mondo e il pensiero del cuore, Milano: Adelphi) propone l’esplorazione e l’attivazione di una ‘coscienza delle cose’, che potrebbe ampliare la nozione tradizionale di coscienza di sé, limitata al soggettivismo: occorre restituire alle cose le qualità cosiddette secondarie: colori, sapori, qualità tattili.
Per quanto riguarda i percorsi delle scienze della formazione e del benessere, appare necessario riarticolare le discipline in base a queste esigenze. Occorre ripensare e riformulare la formazione etica e spirituale, la formazione estetica, la formazione delle emozioni e dei sentimenti, la formazione affettiva e sessuale, la formazione del corpo, della salute e del benessere, lo sviluppo della coscienza ecologica, le capacità creative e relazionali. Occorre una formazione di base che risvegli le energie del corpo, del cuore, della ragione e dello spirito attraverso determinate pratiche trasformative.