Memoria, scetticismo e fantascienza
Testo di: Andrea Sani
“Noi siamo davvero chi crediamo di essere?” Ecco una delle domande poste da Atto di forza e da Blade Runner, due blockbusters che traducono in una forma spettacolare il sospetto formulato dai filosofi sull’inaffidabilità della memoria.
Il cinema di fantascienza è in grado di farci vedere – anche con “gli occhi della testa” – degli analoghi esperimenti proposti dalla filosofia che non si possono effettuare nella vita quotidiana. In tal modo, le pellicole fantascientifiche allargano le possibilità della nostra esperienza sensoriale, capovolgono il senso comune e possono offrirci una nuova idea della conoscenza.
E’ ormai opinione diffusa che anche il cinema possa mettere in gioco problemi astratti e complesse questioni filosofiche. Non è detto, però, che soltanto i film dei più grandi maestri del cinema possiedano una valenza speculativa. Persino una pellicola “spettacolare” destinata al grande pubblico è in grado di esprimere un messaggio filosofico. Alcuni film di fantascienza, per esempio, nel descrivere fenomeni insoliti o straordinari, alludono (consapevolmente o inconsapevolmente) a teorie filosofiche.
Esperimenti ideali
I film di science-fiction riescono a visualizzare i cosiddetti esperimenti mentali (o ideali) della filosofia, cioè quelle esperienze che non si dimostrano fattibili in pratica, ma che i filosofi ipotizzano per avanzare sospetti su fatti ordinari che, a un esame superficiale, possono apparire non problematici.
Il concetto di esperimento ideale risale, in realtà, a Galileo, ed è stato introdotto in un contesto scientifico: tale tipo di esperimento consente agli scienziati di sfuggire alla concretezza e alla specificità delle situazioni reali, usando, come ha affermato lo stesso Galileo, gli “occhi della mente” e non “gli occhi della testa”.
Sulle orme di Galileo, Einstein, nel Novecento, ha proposto “esperimenti impossibili” idealmente condotti alla velocità della luce, i cui risultati, pur non essendo ovviamente conseguibili sul piano pratico, forniscono utili indicazioni logiche relative a determinate conseguenze fisiche.
Il cervello in una vasca
Fra i più insoliti esperimenti mentali visualizzati dai film di fantascienza, si può ricordare quello del “cervello in una vasca”, volto a mettere in dubbio la realtà che ci circonda, proposto dal filosofo statunitense Hilary Putnam in Ragione, verità e storia (1981).
Putnam immagina che uno scienziato pazzo estragga il cervello dal corpo di un uomo, lo ponga in una vasca piena di liquido nutriente e lo connetta a un computer appositamente programmato per simulare la vita corporea. Il cervello continua a credere di avere un corpo e di compiere esperienze, mentre in realtà tutto questo non è che l’illusione dettata dal computer dello scienziato. A questo punto, Putnam si chiede: chi ci assicura che anche noi non siamo cervelli in una vasca, condannati a illuderci sulla nostra reale situazione?
Il genio maligno
Riaffiora, quindi, in una forma modernizzata, il celebre dubbio scettico proposto da Cartesio: chi garantisce dell’esistenza di ciò che vediamo, tocchiamo, udiamo? E se ci fosse un genio maligno a orchestrare l’intera nostra esperienza tenendoci nell’inganno? Per vincere questi dubbi, Cartesio deve dimostrare l’esistenza di un Dio onnipotente e non ingannatore. Solo sulla veracità divina, si potrà così fondare l’esistenza del mondo esterno e il valore della nostra ragione.
Come ha fatto notare anche il filosofo del linguaggio Diego Marconi, l’ipotesi del cervello in una vasca è stata ripresa nel ciclo cinematografico di Matrix (1999 e 2003), diretto dai fratelli Larry e Andy Wachowski, che hanno descritto il destino di un’umanità ridotta a uno stato larvale, e la cui mente è controllata da un gigantesco computer, la Matrice, che fa vivere gli uomini in una specie di sogno continuo.
L’inattendibilità della memoria
Oltre a Matrix ci sono altri film science-fiction che illustrano con efficacia le più fantasiose ipotesi dello scetticismo conoscitivo, quella posizione filosofica secondo cui non possiamo conoscere nulla con certezza e c’è sempre qualche ragione per dubitare anche delle nostre credenze fondamentali.
Si consideri, per esempio, il film Atto di forza del regista olandese Paul Verhoeven, tratto dal racconto Ricordi in vendita di Philip K. Dick, lo stesso autore del romanzo che ha ispirato il celeberrimo film Blade Runner di Ridley Scott. Atto di forza mette in dubbio l’affidabilità della nostra memoria, e pone agli spettatori il seguente problema filosofico: in che modo un individuo può sapere che i propri ricordi non sono un’illusione, ma sono causati da percezioni e pensieri che egli ha avuto precedentemente?
La creazione poco fa
Il problema è sollevato anche dallo scrittore argentino Jorge Luis Borges nel saggio La creazione e P. H. Gosse, contenuto nella raccolta Altre Inquisizioni, Borges suppone, per assurdo, che Dio, nella Sua onnipotenza, abbia creato il mondo non miliardi di anni fa, ma soltanto da pochi minuti. Immagina, inoltre, che lo abbia prodotto in modo tale che sia perfettamente funzionante in ogni sua parte, con tutte le cose che adesso vediamo intorno a noi, e fornito di individui che ricordano un passato del tutto illusorio.
Ciascun uomo avrebbe una memoria in grado di dargli l’impressione di aver già vissuto vari anni di vita, anche se, in realtà, questa vita anteriore non sarebbe mai esistita. Ebbene, la nostra esperienza è perfettamente compatibile con questa supposizione, cioè con l’idea che la storia del mondo potrebbe essere iniziata pochi istanti fa. Borges attribuisce una simile ipotesi scettica al logico e filosofo inglese Bertrand Russell, che l’espone nel capitolo IX del suo L’analisi della mente (1921).
Il ricordo – credenza
“Nell’esaminare i ricordi-credenze, scrive Russell, si deve tener conto di certi punti. In primo luogo, tutto ciò che costituisce un ricordo-credenza, accade adesso, e non in quel tempo passato a cui la credenza si riferisce. Non è logicamente necessario per l’esistenza di un ricordo-credenza che l’evento ricordato sia accaduto, e non lo è neppure l’esistenza del passato. Non c’è un’impossibilità logica nell’ipotesi che il mondo sia venuto ad esistenza cinque minuti fa, e che sia sorto esattamente come è ora, con una popolazione che ricorda un passato del tutto irreale.
Non c’è una connessione logicamente necessaria tra eventi che si verificano in tempi diversi; quindi niente di ciò che succede adesso o succederà in futuro può confutare l’ipotesi secondo cui il mondo è sorto cinque minuti fa. I fatti detti conoscenza del passato sono logicamente indipendenti dal passato; essi sono interamente scomponibili in contenuti presenti, che potrebbero, teoricamente, essere esattamente come sono anche se non fosse esistito alcun passato”.
Russell precisa che l’inesistenza del passato non è da prendere in considerazione come ipotesi seria. Tuttavia, è logicamente sostenibile e può essere utilizzata nell’analisi di ciò che accade quando noi ricordiamo. Già René Descartes aveva avanzato dei dubbi circa l’attendibilità della nostra memoria nelle Meditazioni metafisiche sulla filosofia (1641), e in particolare nella Quinta Meditazione.
In questo scritto, il filosofo francese ammette che, mentre il nostro spirito ha di fronte a sé una verità evidente (come, per esempio, un assioma di geometria), non può dubitare di ciò che contempla. Ma quando non ha più presente tale verità, e ricorda soltanto di averla esaminata altre volte, non ne è più sicuro. Infatti, il ricordo dell’evidenza non è un’evidenza.
Anche David Hume asserisce nel Trattato sulla natura umana del 1739-40 che talvolta un’idea della memoria relativa a un fatto realmente accaduto, perdendo la sua forza e vivacità, può degenerare a tal punto da esser presa per un’idea della nostra fantasia o immaginazione che non corrisponde alla realtà dei fatti.
Viceversa, un’idea dell’immaginazione può acquistare tale forza e tale vivacità da passare per un’idea della memoria, e imitarne gli effetti sulla credenza e sul giudizio. Non a caso, i mentitori, per la frequente ripetizione delle loro bugie, finiscono per credere alle loro stesse menzogne e per ricordarle come se fossero fossero delle cose vere.
Atto di forza
Nel film fantascientifico Atto di forza si sostiene, appunto, che i ricordi attuali delle nostre azioni non comportano di necessità che tali azioni siano state effettivamente compiute. Forte di questo presupposto, una singolare agenzia di viaggi di Chicago specializzata in “turismo mentale”, la Recall Incorporated, garantisce ai suoi clienti di poter impiantare nel loro cervello il ricordo di qualunque viaggio avventuroso mai vissuto. Il risultato (cioè il ricordo) sarà esattamente lo stesso, come se il viaggio si fosse verificato davvero.
Nel 2084, l’operaio edile Doug Quaid (Arnold Schwarzenegger), desideroso di compiere un viaggio virtuale su Marte, si rivolge all’agenzia Recall, ma scopre di essere già stato realmente su quel pianeta come Hauser, agente segreto al servizio dello spietato dittatore locale. Capisce, inoltre, che la sua intera esistenza (o, più esattamente, tutto l’insieme dei suoi ricordi che compongono la sua esistenza di operaio edile) è un’illusione, prodotta un da un chip di memoria che degli agenti al servizio del governo gli hanno impiantato nel cervello. La seconda metà del film segue Quaid mentre tenta di conoscere in modo più preciso la propria identità, recandosi davvero sul pianeta Marte.
Un tema simile è presente anche nel già citato Blade Runner. In questo film l’androide Rachel (Sean Young) non sa di essere una “replicante”, ed è dotata di una memoria artificiale con cui ricorda un passato che non è mai esistito. Rachel possiede delle foto di quando era bambina e dei suoi genitori. Eppure, è “nata” già adulta. Quando comincia a nutrire qualche dubbio circa le sue origini, subisce un trauma psicologico perché perde la sicurezza della sua identità profonda.
Lo scetticismo
Nell’uso corrente della parola, “scettico” è colui che non crede in qualcosa che viene riferito o asserito da altri. In senso strettamente filosofico, lo “scetticismo” (termine che deriva dal greco sképsis = “ricerca”) è la posizione di chi nega che la verità possa essere conosciuta in qualche modo, e che, di conseguenza, dubitando di tutto, si rifiuta di accettare qualsiasi credenza.
Nel mondo antico, lo scetticismo è fondato da Pirrone di Elide (365-275 a.C.), e il movimento dura dal IV secolo a.C. al III secolo d.C., dando vita a scuole e filosofi diversi, accomunati dalla convinzione che la certezza non è possibile. Il Medioevo ignora lo scetticismo, che sarà ripreso nel Cinquecento da Michel de Montaigne (1533-1592) e da David Hume (1711-1776) nel Settecento.
Lo scetticismo è stato determinante nello sviluppo della filosofia perché ha posto in modo chiaro gli interrogativi che sono alla base del problema della conoscenza (o gnoseologia), e perché ha lanciato una sfida. Infatti, i filosofi si sono trovati di fronte a un bivio: o ammettere che non esiste la certezza, o confutare le obiezioni scettiche.
René Descartes (1596-1650), per esempio, ha fatto proprio il dubbio scettico e lo ha usato non per arrendersi all’incertezza, ma per costruire un sapere davvero certo. In effetti, secondo Descartes, io posso dubitare di tutto (sia della testimonianza dei sensi, sia di quella della ragione), ma non del fatto stesso che sto dubitando e cioè pensando. E se è certo che io penso, è anche certo che io sono: cogito, ergo sum.