Ecopsicologia. C’è bisogno di una nuova idea!
Testo di: Roberta Piliego
Con l’ecopsicologia, ecologia e psicologia umanistica s’incontrano e ci invitano a riflettere su quel legame, profondo e indissolubile, che connette l’uomo alla Terra. Questo dialogo, tra “parti di uno stesso essere”, ridefinisce la relazione uomo –natura alla luce di una vera e propria ricollocazione dell’essere umano nel mondo.
Marcella Danon ha raccolto questo invito e con il suo ultimo libro “Ecopsicologia” ci propone una nuova idea del mondo, capace di accogliere l’uomo e il creato secondo una visione sistemica e olistica della realtà.
Incontro con Marcella Danon
– Nell’introduzione al tuo ultimo libro “Ecopsicologia”, edito da Apogeo, parli della ricerca di una nuova visione e affermi la necessità di una nuova idea che ridefinisca l’essere umano e la sua collocazione nel mondo. Raccontami.
Alla base delle problematiche ecologiche contemporanee e anche alla base delle problematiche psicologiche del nostro tempo c’è lo stesso presupposto: quello di credersi staccati, separati, indipendenti dal resto del mondo. Fino a quando esiste, nella nostra visione del mondo, l’idea che “io sono qui e tu sei lì” – e “tu” non è solo l’altra persona, è anche l’animale che abita con me, quello che mangio senza preoccuparmi di quale qualità di vita e quale qualità di morte ha dovuto subire prima di arrivare al mio piatto, è anche la foresta che viene tagliata per soddisfare gli interessi di pochi – fino a che sussiste questa visione è evidente che continueremo ad agire sull’alterità e sull’ambiente come se soltanto noi fossimo importanti e degni di vita e continueremo a soffrire di vuoto esistenziale senza più saper dare un senso alla nostra vita, una volta che tutti i gadget della modernità non sapranno più distrarci dalle domande esistenziali che sono in tutti i tempi fondamentali per l’uomo: “Chi sono io? Da dove vengo e dove vado?”.
– Che cosa è l’ecopsicologia e qual è il suo ruolo all’inizio di questo nuovo millennio?
Sai che non è facilissimo definirla? Negli USA, dove nasce nel 1989, la chiamano “movimento”, Theodore Roszak stesso – lo storico della cultura che se ne è fatto portavoce con un primo libro nel 1992, The voice of the Earth – la chiama “cappello”, un grande cappello che unisce diversi filoni già esistenti all’epoca – psicologia verde, ecoterapia, ecologia transpersonale – di terapeuti impegnati contemporaneamente su due fronti, eco e psico.
L’assunto di base dell’ecopsicologia è che la questione ambientale e il malessere esistenziale dilagante sono strettamente collegati tra loro e quindi da affrontare insieme, almeno nell’approccio nel lavoro con il singoli individuo, per guidarlo nel ricreare una connessione col suo mondo esterno parallelamente all’esplorazione e valorizzazione del suo mondo interno.
L’ecopsicologia accompagna l’individuo nelle profondità del suo essere sino a permettergli di riconoscere la presenza di un suo “inconscio ecologico”, e quindi la sua stretta interelazione col mondo circostante, e accompagna – metaforicamente o anche fisicamente – l’individuo a prendere contatto col paesaggio in modo diverso, con un atteggiamento di grande ascolto e attenzione, utilizzando lo stimolo sensoriale come spunti per una più approfondita introspezione, come occasione per sentire e ascoltare anche le voci più sottili che parlano dentro di sé. Dentro e fuori, è questa la chiave, più conosco fuori e più conosco dentro, e viceversa. E allora capirò che devo e posso impegnarmi per il mondo non per essere bravo e alla moda, ma perché – non scherziamo! – il mondo sono anche io. Risvegliare nelle persone questa consapevolezza è il suo ruolo.
– “Una riflessione sullo scopo di questa esperienza chiamata vita non può che condurre ad una ridefinizione degli stili di vita”. In concreto, a quali stili di vita ti riferisci? Quali gesti e comportamenti dovrebbero essere rivisti?
Sai, non tanto il cosa quanto il come. L’invito è quello di diventare più consapevoli delle conseguenze dirette e indirette di ogni nostra scelta. C’è chi definisce questo approccio con diventare “consumatori consapevoli”, e mi piace questa definizione.
I nativi americani, per esempio – e si può dire lo stesso per quasi tutte le popolazioni native – tradizionalmente, mangiano carne, ma accompagnano l’atto della caccia con buon senso, attenzione all’ambiente e profondo senso di rispetto e riconoscenza per l’animale che viene sacrificato. Come minimo, quando mangiamo carne, avremmo il dovere di rivolgere un pensiero di gratitudine nei confronti dell’animale. E invece spesso mangiare carne diventa un atto meccanico e nulla sappiamo di quanto ha vissuto e patito l’animale prima di diventare nostro cibo.
Lo stesso discorso vale per il vestito ricamato comprato a poco prezzo che ha dietro di sé una vita di schiavitù di donne e bambini che lavorano per paghe irrisorie. Non sto entrando in questioni di giudizio, ma di consapevolezza, di gestione oculata delle risorse anche se si tratta semplicemente di non sprecare acqua o energia elettrica a casa propria o di chiedersi se un viaggio in auto è proprio indispensabile, o di scegliere un prodotto non imballato piuttosto che uno in cui la scatola costa più del contenuto, scatola che andrà poi smaltita, ecc. L’invito è quello di porsi domande e di diventare consapevoli del proprio potere di consumatore e di cittadino.
– Cosa intendi per ecologia superficiale ed ecologia profonda?
È Arne Naess che ha coniato questa distinzione. Naess è il filosofo norvegese padre dell’ecologia profonda che è uno dei filoni filosofici alla base dell’ecopsicologia. Il suo pensiero prende corso negli anni ’70 ai primi tempi della consapevolezza ecologica, pochi anni dopo il messaggio di Rachel Carson in Primavera silenziosa. “Gli uccellini non cantano più nelle nostre campagne” scrive la Carson e il mondo si accorge che la chimica invece di portare la risoluzione di tutti i problemi dell’uomo ne sta creando di nuovi.
Nel dibattito mondiale che scaturisce da questa consapevolezza Naess si accorge subito che la tendenza dominante è quella di cercare di limitare i danni, di istituire magari riserve naturali e creare prodotti meno inquinanti, ma senza mettere in discussione lo stile di vita moderno consumistico e il mito dello sviluppo. A questa ecologia superficiale Naess contrappone una visione in cui tutto il rapporto dell’uomo col resto della creazione viene messo in discussione e viene stilata una carta dei diritti dell’ambiente in cui al mondo naturale viene riconosciuta una dignità di soggetto pari a quella che l’essere umano arroga solo per sé. Arne Naess oltre che docente di etica e logica, è un appassionato di natura, è influenzato dalla non-violenza ghandiana, dal buddismo Mahayana e da Spinoza, la sua ecologia profonda è basata su una visione olistica della realtà in cui l’uomo è considerato una parte del tutto.
– Citando Edgar Morin e il suo libro “Terra-Patria”, hai ricordato l’idea di cittadinanza terrestre e di comunità di destino. Un’esortazione a impegnarsi in una riflessione profonda che coinvolge economia, politica, scienza ed ambiente, una vera e propria “riforma del pensiero”.
Sì, e questo è un’altra delle riflessioni che insieme a quelle sull’ecologia profonda fanno parte dell’ecopsicologia. È proprio un cambiamento di paradigma quello che l’ecopsicologia propone coerentemente col pensiero sistemico di cui parla Gregory Bateson quando ci invita a riconoscere che siamo “un filo nella trama del mondo” e che quello che facciamo al mondo lo facciano a noi stessi.
Il concetto di cittadinanza terrestre di Morin, così come quello di coscienza planetaria di Boff rappresentano modelli d pensiero che si fanno interpreti di questo nuovo paradigma, offrendo un immagine concreta che possa guidare tutta l’umanità a ridefinire la propria identità e a unire sforzi e buona volontà verso impegni comuni. L’immagine del pianeta Terra è l’unica che può veramente raccogliere tutti sotto un’unica bandiera senza alcuna discriminazione.
– Crescita personale e coscienza ambientale. La tua formazione in psicologia ti ha spinta ad individuare un punto d’incontro tra ecologia e psicologia umanistica e transpersonale. Quando e come questi due ambiti si incontrano?
Quando conoscendo me stesso scopro che non sono solo/a, che sono figlio/figlia della vita, parte di un processo che ha avuto inizio migliaia, miliardi di anni fa, che il mio corpo è fatto con gli stessi ingredienti del resto dell’universo, che il mio DNA differisce da quello degli altri animali qui sulla Terra per percentuali insignificanti, che il mio bagaglio di istinti ha ancora memorie di tempi in cui vivevamo tutti a stretto contatto con la natura, quando scopro che – anche se non la conosco – la storia della mia tribù, nazione, cultura e famiglia sono iscritti nella mia memoria inconscia.
Questo per me è ecopsicologia, questo è là dove si uniscono l’attenzione all’individuo e quella all’ambiente, la percezione del mio qui e ora con la capacità di vedermi all’interno di un processo che ha una storia antica e che è proiettato verso il futuro. Posso partire da me e scoprire il mondo e posso partire dal mondo e scoprire me stesso; queste due dimensioni sono strettamente correlate, la qualità di relazioni che sono capace di instaurare con il mondo – gli altri, l’ambiente, la vita – mi faranno crescere come persona, la qualità di rapporto che saprò creare con me stesso – dando ascolto, rispetto e valorizzazione a tutto ciò che scopo far parte di me si rifletterà su come saprò relazionarmi agli altri, al mondo.
La concezione della personalità molteplice promossa da Roberto Assagioli è per me diventata un’altra delle componenti fondamentali dell’ecopsicologia, insieme a tutta la visione umanistica-esistenziale che riconosce all’essere umano libertà, creatività e responsabilità. L’introspezione viene guidata con la consapevolezza che “non sono responsabile di ciò che trovo dentro di me, ma sono responsabile di quello che ne faccio”, in questo modo siamo liberi di guardarci dentro senza giudicare, con la sicurezza che abbiamo la libertà di mettere o non mettere in atto, per esempio, una pulsione o un desiderio, e abbiamo la creatività per trasformarla in qualche cosa d’altro assumendoci sempre comunque la responsabilità di ciò che siamo e di ciò che vogliamo diventare, in una visione molto dinamica dell’essere umano, che invita all’azione, all’azione intrisa di significato e di valori.
– Oltre a far parte del direttivo della European Ecopsycology Society, hai fondato e dirigi la Scuola di Ecopsicologia. Quali segnali ti arrivano da questi due osservatori?
C’è interesse. O meglio, più che interesse c’è bisogno, c’è un bisogno disperato di fare qualcosa, di fare qualcosa di utile. Nei seminari estivi realizzati ogni anno dal 2004, negli aggiornamenti professionali, nel percorso di master partito nel 2006, nei corsi via e-mail, e anche al convegno realizzato da EES (European Ecopsycology Society) lo scorso settembre in valle d’Aosta, trovo e conosco persone appassionate di vita, di natura, di relazioni umane autentiche e piene che vogliono realizzare, ognuna nel suo ambito qualche cosa di concreto per non sentirsi “rassegnati all’evitabile”, per dare corpo e voce ai loro valori, speranze, progetti.
È questa la cosa più importante. Arrivano alla Scuola di Ecopsicologia “Inventare il Mondo” insegnanti, psicologi, counselor, formatori, animatori, guide forestali e guardaparchi, non per imparare qualche cosa di nuovo, perché spesso di ambiente ne sanno più di me, ma per trovare la carica e il sostegno dallo scoprirsi tanti nell’avere le stesse idee e desideri; per acquisire una nuova visione unitaria del mondo e dell’uomo e mappe di riferimento che possano poi guidare in una applicazione concreta, che può prendere innumerevoli diverse forme. Per questo anche a me piace la definizione dell’ecopsicologia come un grande cappello sotto al quale ognuno può realizzare progetti su misura per sé, partendo da ciò che più ama fare e condividere.
Non ci sono tecniche precise e percorsi obbligati, c’è un insieme organico di idee e una direzione comune e c’è un patrimonio di percorsi concreti di lavoro e applicazione che si arricchisce con il contributo di ognuno. Se la Scuola nei suoi primi tre anni di vita si è dedicata molto alla divulgazione delle idee ora, anche grazie all’uscita del libro Ecopsicologia, si concentrerà di più sull’applicazione concreta, sulla condivisione e supervisione di progetti, in tutti gli ambito in cui l’ecopsicologia può essere applicata, dalla crescita personale per se stessi, al counseling, all’educazione, all’animazione in ambiti comunitari.
In un’intervista Brian Swimme – il cosmologo che racconta la storia contemporanea inserendola in una ambito universale di miliardi di anni e che riconosce nell’essere umano la vita fattasi consapevole di sé – dice che nessuno sa se, in quanto umanità, sapremo affrontare bene la sfida di crescita che il nostro il nostro tempo ci impone, ma che abbiamo tutti la possibilità di impegnarci attivamente affinché ciò accada, indipendente dai risultati che potremo raggiungere oppure no. È questo lo spirito dell’ecopsicologia.
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