Christian Boiron. L’uomo, l’imprenditore, l’artista
Testo di: Roberta Piliego
«Permettere, all’interno dell’azienda, ai dipendenti di esprimersi, ascoltarli… Uscire dalla trappola tecnocratica… fare un progetto. Un progetto è un sogno, un desiderio, ed è una speranza. Questa è, a mio avviso, l’esatta definizione di progetto.»
Christian Boiron
MANAGEMENT E MODELLI D’IMPRESA
– Stiamo da tempo assistendo ad una profonda riflessione sui temi del management e dei modelli d’impresa. Dottor Boiron, lei è un imprenditore che ha saputo introdurre, all’interno della sua azienda, non solo un nuovo metodo di gestione e di management, ma anche una nuova concezione sociale dell’azienda. Ci racconti.
Innanzitutto l’azienda non dovrebbe avere come obiettivo “il far denaro” quanto piuttosto il rispondere ad un bisogno della collettività e della società: curare il cancro, viaggiare più rapidamente e in modo confortevole, comunicare con il mondo, avere informazioni, scaldarsi, poter disporre di acqua potabile.
Avere dunque un obiettivo, un progetto per la collettività. Il rendimento dovrebbe essere la remunerazione logica del raggiungimento di questo obiettivo sociale. È un concetto semplice, per me evidente ma non così facile e così condiviso. Ricordiamoci che gli insegnamenti del management danno come finalità dell’azienda il profitto, sarebbe come dire che la finalità dell’uomo è assumere ossigeno e produrre anidride carbonica. Confondono una realtà con una finalità.
Un secondo aspetto del mio modo d’intendere il management riguarda la questione dell’efficacia aziendale. È un’efficacia che io riconosco come progettuale ed economica, che si ottiene grazie alla possibilità dei dipendenti di esprimersi serenamente e con fiducia. È vero che possiamo ottenere un risultato anche in condizioni di stress, ma non potrà che essere un risultato di basso profilo. Per ottenere un risultato considerevole dovremmo utilizzare un management che s’interessi di più alla felicità che al piacere delle persone. Questa considerazione mi ha spinto ad affrontare un lavoro importante che alla fine è divenuto un libro sulla felicità.
FELICITÀ E PIACERE
– A proposito di felicità, la sua ultima fatica letteraria, edita da Franco Angeli, ha un titolo di grande fascino: “Le ragioni della felicità”. Leggo, in una sua intervista, “… in fatto di piacere e di felicità, la nostra società autorizza solo la poesia”. Cosa ha spinto il presidente della prima azienda al mondo produttrice di medicinali omeopatici a scrivere un libro sul tema della felicità?
Esiste una grande differenza tra la felicità e il piacere, due tipi diversi di gratificazioni biologiche. Il piacere e la felicità sono di natura e di livello diverso. Essi provengono da tre cervelli differenti: il piacere fisico proviene dal cervello rettiliano, a cui compete la gestione delle funzioni fisiologiche.
Il piacere psicologico (l’essere accettato dagli altri ad esempio, l’essere riconosciuto, considerato, amato) dal sistema limbico, il software che gestisce i programmi automatici di comportamento.
La felicità corrisponde al soddisfacimento del terzo cervello la corteccia, sede dell’aspetto più evoluto del cervello umano (è in questa zona che sviluppiamo la nostra capacità di ragionare, calcolare, creare musica e poesia). Il piacere non dà la felicità, mentre la felicità ottimizza e aumenta l’accesso al piacere. In azienda troppo spesso si tende a dare ai dipendenti più piacere che felicità. Sono convinto che sia la felicità a fare crescere la performance dei dipendenti, e non il piacere. Ho creduto fosse importante raccontarlo.
COLTIVARE LE RELAZIONI
– Ascoltandola, mi è piaciuto molto il suo utilizzo della parola “s’epanouir”, sbocciare, fiorire. Ho la sensazione che ci sia una sottesa idea di “coltivazione” della relazione con le persone. Come un terreno che chiede di essere coltivato…
Effettivamente quando assumiamo una nuova persona in azienda ci troviamo di fronte a due possibilità. Considerare la persona come una risorsa produttiva alla stregua di una macchina, di un robot, o guardare l’individuo e la sua specificità. Sono convinto che, se l’azienda è capace di “far fiorire” la personalità distinta e specifica di ognuno, può ottenere migliori risultati.
– Putting people first è quindi il valore ispiratore della filosofia Boiron, ma come si concretizza, nell’ambito aziendale, l’applicazione di questo principio?
L’uniformità, il livellamento, comportano la morte dell’azienda che troppo spesso procede verso questa direzione dimenticandosi che il valore nasce nella diversità. E’ come nella coppia. Quando una coppia è giovane desidera che l’uno rassomigli all’altro e solo con il tempo comprende quanto sia prezioso conservare, al suo interno, le individualità di ciascuno. In un’azienda, fatte le debite proporzioni, è la stessa cosa.
– Quindi in azienda, così come nella vita, la risorsa preziosa risiede nella valorizzazione dell’individualità?
Sì, anche se è più complesso organizzare l’individualizzazione del management.
– Possiamo dunque parlare di relazione one to one…
Esattamente, e sotto tutti i punti di vista. Orari, funzioni, missioni, management… è molto più difficile, ma è molto più efficace, biologico e reale. Siamo una categoria speciale di animali, ci distinguiamo dagli altri per il fatto di avere un terzo cervello:la neocorteccia che ci dà delle possibilità notevoli ma che si mobilizza in modo diverso del cervello limbico.
– Sistema limbico, cervello rettiliano e neocorticale. Questa ripartizione del cervello, che lei ha utilizzato nel suo libro per descrivere il funzionamento e il meccanismo della felicità, riconduce ad un’idea di trinità. È affascinante che si sia passati, una volta di più, attraverso la sacralità di una trinità.
Sì è vero. Del resto anche Sigmund Freud era ricorso ad una ripartizione trina della personalità. Tornando al principio putting people first, credo sia indispensabile una formulazione precisa del progetto. Se chiedo ad una persona di entrare nella mia azienda, occorre che io enunci il progetto aziendale. Dovrò quindi lavorare molto affinché la formulazione di questo progetto sia semplice e comprensibile. Solo allora potrò presentarlo, in assoluta trasparenza, ai dipendenti e agli azionisti offrendo loro la possibilità di riconoscersi in tale progetto.
Il management dell’azienda è un vettore tra gli azionisti e i dipendenti ma, solitamente, è un vettore opaco. Per essere un vettore trasparente, come io credo, occorre coerenza. È necessario rivolgersi agli azionisti e ai dipendenti con lo stesso progetto dicendo loro che tutti abbiamo un solo e unico progetto.
UN PROGETTO ETICO E POLITICO
– È l’affermazione di un principio non solo etico, ma anche politico…
Etico e politico ma, soprattutto, deve far funzionare l’azienda. Per quanto mi riguarda, fin dall’inizio ho detto al consiglio d’amministrazione qual è la mia filosofia. Se non potessi mettere in pratica le mie idee, preferirei andarmene. Non voglio essere diverso. Dal punto di vista del management è indispensabile avere delle regole del gioco chiare, in particolare per quanto riguarda la ripartizione dei risultati. Le voglio dare alcuni esempi.
Nel 1976, in Francia, abbiamo definito una partecipazione dei dipendenti al risultato dell’azienda. Nel 1979 è stato firmato un accordo, tra la direzione e i dipendenti, su come calcolare l’aumento delle remunerazioni annuali, secondo un meccanismo che si basa sulla produttività acquisita l’anno precedente. Se la produttività mette a disposizione un tesoro, questo tesoro potrà essere utilizzato in termini di aumento salariale o di diminuzione dei tempi di lavoro. Ripeto, la cosa importante è avere una regola del gioco chiara, sia nei confronti dei dipendenti che degli azionisti, altrimenti si corre il rischio di essere percepiti come dei manipolatori.
Un esempio concreto in Boiron è stata la decentralizzazione, ovvero il considerare che non siamo un’azienda, ma 300 diverse aziende facenti parte di un’unica azienda. Il servizio di fabbricazione delle tinture madri è un’azienda, il servizio marketing del gruppo è un’altra azienda, fino ad arrivare a 300 diverse microaziende nell’azienda, ognuna delle quali ha una propria specificità che deve essere presa in considerazione per dare le regole del gioco rispetto all’organizzazione delle persone, ai tempi di lavoro e così via.
Le capacità delle persone a capo di queste microaziende sono, per questo tipo di management, un fattore di grande importanza. Occorre un grande sforzo per reclutare, animare, e far sì che questi capi “fioriscano” affinché, a loro volta, possano “far fiorire” le persone con le quali si confrontano. I dipendenti difficilmente mi conoscono, ma riconoscono il loro capo che quindi deve essere formidabile. Ecco perché l’azienda deve fare il possibile per rendere così tutti questi capi.
IMPRESA E NUOVO MILLENNIO
– Qual è la sua percezione del mondo imprenditoriale all’alba di questo terzo millennio?
Innanzitutto avverto un gigantesco stress pesare sulle aziende. La concorrenza come conseguenza della globalizzazione, la pressione fiscale, i vincoli ecologici, gli obblighi di ordine sociale sono in continua ascesa. È normale che le esigenze della società verso le aziende crescano nel tempo, ma questa crescita, che dovrebbe essere proporzionale alla crescita della produttività media delle aziende, è troppo rapida. Questa differenza produce un enorme stress che si ripercuote sugli azionisti e sui dipendenti creando i presupposti per un fenomeno che definisco di ‘babelizzazione’.
– L’episodio delle Twin Towers ha evocato in molti l’insegnamento della Torre di Babele…
È vero. Effettivamente fondersi con altri laboratori farmaceutici significa divenire più grossi e quindi correre meno rischi di morire, confrontarsi con competitori meno aggressivi e avere meno difficoltà con i governi che avanzano sempre maggiori pretese.
Tutte le aziende vogliono essere sovranazionali propendendo per una babelizzazione ma, nel momento in cui assumono quelle enormi proporzioni, perdono di umanità. In questo momento quello che avverto è una sorta di esitazione tra il modello liberale americano e il modello socialista protezionista di matrice europea. Un altro aspetto, strettamente collegato al fenomeno della babelizzazione, è la disincarnazione che trasforma le aziende in tecnostrutture. Tutto ciò in un momento in cui richiediamo alle aziende di essere più etiche!
AZIENDA E INCARNAZIONE
– Cosa intende per azienda etica?
L’etica è anche la capacità di opporsi agli altri, ma perché questo sia possibile, occorre che Io esista. Se non esisto, non posso oppormi. Una tecnostruttura, non essendo una umana incarnazione, richiede un management capace di gestire un turnover fluido e veloce. In una tecnostruttura non esiste un capo importante, il capo cambia dall’oggi al domani senza che ciò la influenzi. Se la Boiron sostituisse il suo capo, se io me ne andassi, l’azienda si trasformerebbe completamente (non è detto in peggio!). È una questione che riguarda l’incarnazione del management.
– Quindi d’identità?
D’identità e di personalità. Ciò che definisco incarnazione è il fatto che il capo d’impresa rappresenta sia gli azionisti che i dipendenti. Questa evoluzione, questo passaggio, è ciò che sento in questo momento.
– L’omeopatia come evoluzione del paradigma scientifico e medico, ma anche patrimonio genetico familiare, valore culturale e progetto personale. Cosa rappresenta per lei oggi l’omeopatia?
Ritengo che oggi l’omeopatia sia una vera opportunità per la medicina. Per le malattie croniche, come per esempio e le allergie, per le patologie invernali e i problemi d’ansia: tutti ambiti in cui l’omeopatia funziona bene. In particolare coi bambini.
– Un’opportunità che può lavorare insieme alla medicina allopatica come alleato, e non come alternativa?
Sì, non esiste un’altra medicina. L’omeopatia è solo una terapia specifica, come gli antibiotici o gli ansiolitici. Si tratta di una categoria di medicinali complementari rispetto agli altri. La medicina è una sola, ma i mezzi possibili per curare sono diversi. Si tratta di un approccio pragmatico e non teorico o ideologico. L’omeopatia non è perfetta e tutti gli approcci hanno un ruolo da giocare sulla salute della persona. Il medico è come un bravo chef de cuisine che deve utilizzare al meglio gli ingredienti che ha a disposizione.
Come nel management, è importante la personalizzazione e l’individualizzazione del trattamento. Per una persona posso scegliere un trattamento omeopatico e per un’altra, affetta dalla stessa malattia, potrò ritenere più opportuno un altro tipo di trattamento. Le persone sono diverse, e quindi diverso sarà il loro modo di reagire.
– Ogni persona ha quindi una sua medicina e una sua possibilità di essere curata?
Sì, e ogni persona costituisce la sua sola malattia.
UN PROGETTO È UN SOGNO, UN DESIDERIO, ED È UNA SPERANZA
– Lei ha dichiarato “ l’economia di mercato può funzionare soltanto in un’atmosfera in cui regnano il sogno, il desiderio e la speranza. Se vogliamo dare un’altra occasione all’economia di mercato, bisogna necessariamente curare quella malattia mondiale che è l’apatia”. In che modo l’impresa può concorrere a trasformare un contesto di apatia in un contesto di sogno, desiderio e speranza?
Permettere, all’interno dell’azienda, ai dipendenti di esprimersi, ascoltarli… Uscire dalla trappola tecnocratica… fare un progetto. Un progetto è un sogno, un desiderio, ed è una speranza. Questa è, a mio avviso, l’esatta definizione di progetto.
– Dottor Boiron, mentre l’ascolto penso ad un’idea di azienda che possa avere anche una funzione alchemica, un’azienda capace di trasformare gli elementi…
Sono assolutamente d’accordo con lei. Per trasformare il contesto di apatia è importante dare la parola alle donne che sono, in campo aziendale, più facilmente pronte ad essere nel sogno, nella speranza e nel desiderio rispetto agli uomini. Per ritrovare il sogno e il desiderio, occorre riappropriarsi della propria autenticità. Se accetto la mia autenticità, se voglio essere me stesso, potrò ritrovare facilmente la mia capacità di sognare, di desiderare e di sperare. È necessario recuperare la forza della naïveté.
– A cosa sta lavorando in questo momento, qual è il progetto attuale di Christian Boiron?
Sto scrivendo due libri, il primo è dedicato all’omeopatia, alla sua modernità e all’importanza della modestia nell’accostarsi a questo tema, il secondo affronta il tema della “felicità economica” e vuole sostenere che l’azienda è di fatto il miglior amico dell’umanità.
– È, ancora una volta, l’affermazione di una visione positiva.
Sì, ancora una volta. Ho anche accettato di essere membro del Comitato Etico di Medef (Mouvement des entreprises de France), l’organizzazione delle aziende francesi, e sono amministratore della facoltà di medicina di Lione. Naturalmente nei miei progetti ci sono i miei bambini e il voler ritrovare la mia creatività attraverso la pittura che ho abbandonato da quando mi sono risposato. Ora che i miei bambini hanno raggiunto i quattro anni e mezzo e i due anni di età, posso recuperare anche questo mio progetto legato alla pittura. L’arte per me è un esercizio sul cammino della felicità personale, oltre che sul cammino della realizzazione dell’azienda.
CHRISTIAN BOIRON
Presidente di Laboratoires Boiron, la prima azienda al mondo produttrice di medicinali omeopatici, Christian Boiron è stato definito, per la sua grande passione per il sociale e la ricerca, “il farmacista filosofo”.
I suoi valori e le sue convinzioni lo hanno condotto a vivere intensamente anche l’esperienza della politica. È stato Vicesindaco di Lione dal 1989 al ‘92, incaricato dello sviluppo economico e internazionale della città e della comunità urbana.
Amante dell’arte moderna e sopratutto della pittura, è autore di tre libri, di cui l’ultimo tradotto in italiano con il titolo “Le ragioni della felicità”, che testimoniano la riflessione di un uomo che ha saputo tradurre in azienda un pensiero innovativo in un indirizzo di management vincente.