Aspetti significativi della terapia centrata sul cliente
Carl R. Rogers (1946)
Università di Chicago
Pubblicato la prima volta in “American Psycologist”, I, 415-422
Traduzione e Commento
Renata Cancellari
Nella pianificare l’indirizzo da dare alla trattazione di questo tema, ho preso in considerazione e scartato parecchi possibili argomenti. Ero tentato di descrivere il processo della terapia non direttiva, le tecniche e le procedure di counseling che sembrano più utili nel determinare questo processo. Molto, però, su questi temi si è scritto o è in via di scrittura. Il mio libro sul counseling e la psicoterapia contiene gran parte del materiale di base, e il mio recente libro, più popolare, sul counseling con i militari tornati dal fronte, tende a completarlo. I principi fondamentali dell’approccio centrato sul cliente e la sua applicazione nel lavoro con i bambini è presentato in modo convincente da Allen. L’applicazione del counseling ai lavoratori dell’industria è trattato nel volume di Cantor. Curran ha ora pubblicato un libro in cui sono riportate numerose ricerche che stanno gettando nuova luce sul procedimento e le procedure. Axline sta per pubblicare un libro sul gioco e la terapia di gruppo. Snyder sta riportando in un libro dei casi pratici. Quindi mi è sembrato inutile perdere del tempo per riassumere materiale che è, o presto sarà, reperibile in forma scritta.
Un’altra possibilità allettante, soprattutto in questa trattazione, era quella di esporre alcune delle fonti da cui è scaturito l’approccio centrato sul cliente. Sarebbe stato interessante mostrare come nei suoi concetti di repressione e liberazione, nel suo porre l’accento sui concetti di catarsi e intuizione, ha molte radici nel pensiero freudiano, e riconoscerne l’indebitamento. Questa analisi avrebbe inoltre dimostrato che, nel suo concetto di capacità individuale di organizzare la propria esperienza, vi è un indebitamento ancora più profondo con il lavoro di Rank, Taft e Allen. Nel suo sforzo sulla ricerca dell’obiettivo, nella sua tendenza a sottoporsi naturalmente all’indagine scientifica, nella
volontà di presentare tutte le ipotesi ad una verifica o smentita dei metodi di ricerca, il debito è, ovviamente, a tutto il settore della psicologia americana, con il suo genio per la metodologia scientifica.
Avrei, altresì, potuto evidenziare che, sebbene tutti in campo clinico siamo stati pesantemente influenzati dall’eclettico approccio “di squadra” alla terapia del “movimento di orientamento bambino” e dall’eclettismo, in qualche modo simile, della scuola di pensiero di Meyers Adolf- Hopkins, questi punti di vista eclettici, forse, non sono stati così fecondi nella terapia e, quel poco che da questi fonti è stato mantenuto, è l’approccio non direttivo. Avrei potuto anche mettere in rilievo che, nella sua tendenza di base, lontano dal guidare e dirigere il cliente, l’approccio non direttivo è profondamente radicato nella concreta esperienza clinica, ed è in accordo con l’esperienza della maggior parte dei lavoratori clinici, tanto che una delle reazioni più comuni dei terapeuti esperti ai miei scritti è dirmi: “tu hai cristallizzato e tradotto in parole qualcosa che io ho ricercato a tentoni per lungo tempo nella mia esperienza personale”.
Un’analisi di questo tipo andrebbe fatta, ma dubito della mia capacità di farla. Sono anche certo che, chi è profondamente interessato a un nuovo sviluppo, conosca con una certa precisione le origini e le radici della terapia non direttiva. Di conseguenza, in questa presentazione, mi sono orientato verso l’adozione di un terzo percorso.
Sebbene faccia una breve descrizione del processo e la procedura e, sebbene dichiari, in modo generale, il nostro debito verso molte fonti e ne riconosco i molti elementi comuni con altri approcci condivisi dalla terapia centrata sul cliente, credo che porterà un comune vantaggio se sottolineo, soprattutto, quegli aspetti in cui la terapia non direttiva (*) si differenzia, più nettamente e profondamente, da altre procedure terapeutiche. Spero di riuscire a mettere in evidenza alcuni degli aspetti più significativi in cui, il punto di vista centrato sul cliente, differisce da altri approcci, non solo nei suoi principi specifici presenti, ma anche nelle più ampie divergenze, che sono implicite
dalla illustrazione dei suoi principali elementi.
IL PROCESSO PREVEDIBILE DELLA TERAPIA CENTRATA SUL CLIENTE
Il primo dei tre elementi distintivi della terapia centrata sul cliente su cui voglio si concentri la vostra attenzione è la prevedibilità, in questo approccio, del processo terapeutico. Ritengo che, sia dal punto di vista clinico che statistico, ci troviamo di fronte ad un modello prevedibile di sviluppo terapeutico. La certezza che ho su questo punto mi è stata confermata di recente, allorchè ho annotato un colloquio per i laureati, tirocinanti nel nostro approccio terapeutico, immediatamente dopo che era avvenuto, sottolineandone gli aspetti caratteristici e concordando di annotare anche i colloqui successivi al fine di mostrare loro le ulteriori fasi del processo di counseling.
Il fatto che io sapevo con certezza quale sarebbe stata la fase successiva, prima di averla verificata singolarmente, mi ha colpito ed ho pensato ad un caso. Evidentemente siamo diventati clinicamente così abituati a questa qualità prevedibile che la diamo per scontata. Forse, una sintetica descrizione di questo processo terapeutico, potrà indicare gli elementi di cui siamo sicuri.
Si può dire che, ora, so come inizia una complessa catena di eventi prevedibili nei rapporti con l’individuo disadattato, una catena di eventi che sono terapeutici, e che operano efficacemente in situazioni problematiche dei più diversi tipi. Questa catena di eventi prevedibili può avvenire attraverso l’uso del linguaggio, come nella consulenza, attraverso il linguaggio simbolico, come nella terapia del gioco, attraverso il linguaggio dissimulato nella terapia con il lavoro teatrale o con i burattini.
È un approccio efficace per far fronte sia alle situazioni individuali, che alle situazioni di un piccolo gruppo. È possibile affermare con esattezza alcune condizioni che devono essere soddisfatte al fine di avviare e portare a termine questa esperienza di trattamento terapeutico. Qui di seguito sono elencate, in breve, il tipo di condizioni che ritengo necessarie, ed i risultati terapeutici che si verificano.
Questa esperienza, che libera le forze di crescita dentro l’individuo, avverrà, nella maggior parte dei casi, se i seguenti elementi sono presenti:
(1) se il counselor opera secondo la linea di principio che ogni individuo è sostanzialmente responsabile di se stesso, ed è disposto a rispettare questa responsabilità dell’individuo;
(2) se il counselor opera secondo il principio che il cliente ha una forte spinta a diventare maturo, socialmente adeguato, indipendente, produttivo, e si basa su questa forza, non sulle sue competenze, per il cambiamento terapeutico;
(3) se il counselor crea un’atmosfera accogliente e comprensiva in cui l ‘individuo è libero di far emergere gli atteggiamenti e i sentimenti che prova, non importa quanto non convenzionali, assurdi, o contraddittori questi atteggiamenti possano essere. Il cliente è libero di esprimersi per come è e di dare libera espressione ai suoi sentimenti;
(4) se i limiti, che sono fissati, sono semplici regole di comportamento nel setting e non limiti posti agli atteggiamenti. Questo vale soprattutto per i bambini. Al bambino non può essere consentito di rompere una finestra, o di lasciare la stanza, ma egli è libero di sentirsi come di voler rompere una finestra, e sentire che è pienamente accettato. Al cliente adulto non può essere consentita più di un’ora per un colloquio, ma vi è la piena accettazione del suo desiderio di rivendicare più tempo;
(5) se il terapeuta utilizza solo le procedure e le tecniche di colloquio atte a trasmettere la sua profonda comprensione degli atteggiamenti emotivi espressi e la sua accettazione di essi. Questa condizione è forse meglio trasmessa da un sensibile rispecchiamento degli atteggiamenti del cliente. L’accettazione del counselor non comporta né approvazione né disapprovazione;
(6) se il counselor si astiene da qualsiasi espressione o azione che sia in contrasto con i precedenti principi. Questo significa riformulare senza mettere in discussione, sondare, dare colpe, interpretare, consigliare, suggestionare, persuadere, rassicurare.
Se queste condizioni sono soddisfatte. allora si può dire con certezza che, nella grande maggioranza dei casi, avranno luogo i seguenti risultati:
(1) il cliente esprimerà profondi e motivati atteggiamenti;
(2) il cliente potrà esplorare i propri atteggiamenti e le reazioni in modo più completo di come ha fatto precedentemente, così potrà conoscere aspetti dei suoi comportamenti precedentemente negati;
(3) il cliente arriverà a realizzare una più chiara coscienza delle motivazioni dei suoi atteggiamenti e ad accettare se stesso in modo più completo. Questa consapevolezza e questa accettazione comprenderà atteggiamenti in precedenza negati. Egli è libero di verbalizzare o meno questa comprensione più chiara della coscienza di sé e del suo comportamento;
(4) alla luce della sua percezione più chiara di se stesso, egli sceglierà, di propria iniziativa e sotto la propria responsabilità (417), i nuovi obiettivi, che risulteranno essere più appaganti dei precedenti obiettivi disadattati;
(5) egli sceglierà di comportarsi in modo diverso al fine di raggiungere questi obiettivi, e questo nuovo comportamento sarà nella direzione di una maggiore crescita psicologica e maturità. Saprà anche essere più spontaneo e meno teso, più in armonia con le esigenze sociali degli altri, si rappresenterà un più realistico e confortevole adattamento alla vita. Sarà più integrato rispetto al suo comportamento precedente. Sarà un passo avanti nella vita come individuo.
La migliore descrizione scientifica di questo processo è quella fornita da Snyder. Analizzando un certo numero di casi, con tecniche di ricerca strettamente oggettive, Snyder ha scoperto che lo sviluppo in questi casi è più o meno parallelo, che la fase iniziale di catarsi è sostituita da una fase in cui l’intuizione diventa l’elemento più significativo, e questa, a sua volta, da una fase caratterizzata da maggiori possibilità di scelta e di azione positive.
Clinicamente sappiamo che, in alcuni casi, questo processo è, relativamente, poco profondo comportando principalmente un riorientamento nuovo per un problema immediato, in altri casi è così profondo da coinvolgere un riorientamento completo della personalità. E ‘riconoscibile, questo stesso processo, nel caso di una ragazza che vive infelice in un dormitorio ed è in grado, in tre colloqui, di vedere qualcosa del suo infantilismo e dipendenza, e di adottare misure verso una direzione più matura; o nel caso di un giovane che è sull’orlo di una deviazione schizofrenica, e che in trenta colloqui elabora intuizioni profonde in relazione al suo desiderio di morte del padre e dei suoi impulsi possessivi e incestuosi verso la madre, e non solo prende atteggiamenti nuovi, ma ricostruisce tutta la sua personalità con questo metodo.
Sia superficiale o profondo, il procedimento è fondamentalmente lo stesso. Stiamo arrivando a riconoscere con sicurezza gli aspetti caratteristici di ogni fase del processo. Sappiamo che la catarsi coinvolge un’espressione, sempre più graduale e completa, di atteggiamenti emotivi. Sappiamo che la conversazione tipicamente va dal trattare problemi e atteggiamenti superficiali, fino ad approfondire i problemi e gli atteggiamenti. Sappiamo che questo processo di esplorazione dissotterra, gradualmente, atteggiamenti rilevanti che sono stati negati alla coscienza. Riconosciamo anche che il processo di raggiungimento dell’insight, può comportare un atteggiamento più adeguato di fronte alla realtà così come esiste in sé, così come si presenta la realtà esterna; ciò comporta la percezione del rapporto dei problemi tra loro, la percezione di nuovi modelli di comportamento, l’accettazione di aspetti fino ad allora negati di sé, e una riformulazione del concetto di sé che implica la realizzazione di nuovi progetti.
Nella fase finale si sa che la scelta di nuovi comportamenti sarà conforme al concetto di sé di recentemente organizzato, che i primi passi nel mettere in atto questi piani d’azione saranno piccoli, ma simbolici, che l ‘individuo avrà solo un minimo grado di fiducia che riuscirà a mettere in atto i suoi piani, che i passi successivi innesteranno sempre più completamente il nuovo concetto di sé, e che questo processo continuerà oltre la conclusione dei colloqui terapeutici.
Se queste affermazioni sembrano contenere troppe certezze, così da risultare “troppo bello per essere vero”, posso solo dire che per molte di loro, ora c’è il sostegno della ricerca e che, il più rapidamente possibile, stiamo sviluppando la nostra ricerca per portare tutte le fasi del processo sotto esame obiettivo. Quelli di noi che lavorano clinicamente con la terapia- centrata sul cliente considerano questa prevedibilità come una caratteristica costante, anche se siamo consapevoli che ulteriori ricerche saranno necessarie per rendere il quadro più completo.
Le implicazioni di questa prevedibilità sono sorprendenti. Ogni volta che, nella scienza, un processo prevedibile è stato scoperto, si è ritenuto possibile usarlo come punto di partenza per una catena di scoperte. Consideriamo ciò come, non solo del tutto possibile, ma inevitabile, per quanto riguarda questo processo di prevedibilità in terapia. Riteniamo, quindi, questo modo ordinato e prevedibile della terapia non direttiva, come uno dei suoi punti più caratteristici e significativi, che la differenziano da altri approcci. La sua importanza non risiede solo nel fatto che si tratta di una differenza presente, ma nel fatto che è rivolta verso un futuro nettamente diverso, in cui, l’esplorazione scientifica di questa concatenazione nota di eventi, dovrebbe portare a molte nuove scoperte, sviluppi e applicazioni.
LA SCOPERTA DELLE CAPACITA DEL CLIENTE
Naturalmente si pone la domanda, qual’è il motivo di questa prevedibilità in un tipo di procedura terapeutica in cui il terapeuta ha solo una funzione catalitica? Fondamentalmente, la ragione della prevedibilità del processo terapeutico, sta nella scoperta – e uso questo termine volutamente – che dentro il cliente risiedono forze costruttive, la cui potenza e uniformità sono state del tutto, o non riconosciute, o grossolanamente sottovalutate. È la netta e rispettosa fiducia del terapeuta su quelle forze dentro il cliente, che sembra spiegare la regolarità del processo terapeutico, e la sua coerenza da un cliente all’altro.
Ho detto che ho considerato questo come una scoperta. Vorrei amplificare tale affermazione. Abbiamo conosciuto per secoli che la catarsi e il rilascio emozionale sono stati utili. Molti nuovi metodi sono stati e sono in corso di sviluppo per portare tale rilascio, ma il principio non è nuovo.
Allo stesso modo l’intuizione, se viene accettata e assimilata dal cliente, è terapeutica, cosa questa nota fin dai tempi di Freud. Il principio non è nuovo. Allo stesso modo ci siamo resi conto che, nuovi modi di comportarsi, possono avvenire a seguito di insight. Anche questo principio non è nuovo.
Ma non abbiamo conosciuto, o riconosciuto, che nella maggior parte, se non in tutti gli individui, esistono forze di crescita, le tendenze verso l’auto-realizzazione, che possono agire come unica motivazione per la terapia. Non ci siamo resi conto che, in opportune condizioni psicologiche, queste forze possono portare il rilascio emozionale nelle parti dell’individuo in cui, tale rilascio, è per lui più salutare. Queste forze possono guidare l ‘individuo ad esplorare in modo efficace le proprie attitudini e il proprio rapporto con la realtà.
Non ci siamo resi conto che l ‘individuo è in grado di esplorare le sue attitudini e i suoi sentimenti, compresi quelli che sono stati negati alla coscienza, in un modo che non provoca dolore, e alla profondità giusta per un tranquillo
adattamento. L’individuo è in grado di scoprire e di percepire, in modo vero e spontaneo, le interrelazioni tra le proprie attitudini, e il suo rapporto con la realtà.
L’individuo ha la capacità e la forza di concepire, abbastanza autonomamente, la procedura che lo porterà ad un rapporto più maturo e più adatto alla sua realtà. È dal graduale e crescente riconoscimento di queste capacità all’interno dell’individuo da parte del terapeuta centrato sul cliente, che, credo, derivi la scoperta del termine terapia-centrata sul cliente. Tutte queste capacità che ho descritto sono liberate spontaneamente nell’individuo che si trovi di un ambiente psicologico adatto.
Si è, naturalmente, portati a servirsi della forza del cliente e a sollecitarlo a raggiungere l’indipendenza che esiste in lui. Psichiatri, analisti e operatori sociali hanno sottolineato questo punto. Eppure è chiaro da ciò che vien detto, e, ancor più chiaramente dai casi riportati nel materiale citato, che questa fiducia è una fiducia che viene data in modo molto limitato. Si tratta di una fiducia di cui i clienti possono farsi carico, se guidati da un esperto, una fiducia che il cliente può assimilare per intuizione se è, in primo luogo, data a lui da parte degli esperti in materi, il cliente riesce a fare scelte di orientamento se tale fiducia è data in punti cruciali. L’atteggiamento dei vari professionisti della relazione d’aiuto, però, richiama lo stesso tipo di atteggiamento che la madre ha verso l’adolescente.
Ella crede nella capacità dell’adolescente di fare le proprie scelte e guidare la propria vita, purché prenda la direzione che ella approva. Questo è molto evidente nel recente libro sulla psicoanalisi di Alexander e French. Anche se molte delle opinioni precedenti e molte pratiche della psicoanalisi vengono scartate e le procedure sono molto più in linea con quelle della terapia non direttiva, è ancora il terapeuta che ha decisamente il controllo. Egli dona le intuizioni, egli è pronto a guidare nei punti cruciali. Così, mentre gli autori affermano che l’obiettivo del terapeuta è di liberare il paziente, perché possa sviluppare le sue potenzialità e aumentare la sua capacità di soddisfare i suoi bisogni in modo accettabile per se stesso e la società; e, mentre si parla del conflitto di base tra concorrenza e cooperazione, come uno stato in cui l ‘individuo deve accontentarsi di se stesso; e si parla dell’integrazione delle nuove scoperte come una normale funzione dell’io, è evidente, quando si parla di procedure, che non hanno alcuna fiducia che il cliente abbia la capacità di fare nessuna di queste le cose.
Perché, in pratica, “Non appena il terapeuta assume il ruolo che noi proponiamo, la pianificazione sistematica diventa imperativa. Oltre alla decisione originaria di utilizzare la terapia-centrata sul cliente, per quanto riguarda il particolare tipo di strategia da impiegare nel trattamento di ogni caso, si consiglia, anche, l’uso consapevole di tecniche diverse in modo flessibile, cambiando, cioè, le tattiche per adattarsi alle particolari necessità del momento, Tra queste modificazioni della tecnica di base ci sono, non solo l’uso del metodo delle libere associazioni, ma anche dei colloqui di tipo più direttivo, la manipolazione della frequenza dei colloqui, il dare [p. 419] direttive al paziente sulla sua vita quotidiana, l’utilizzazione delle interruzioni, di durata lunga o breve, in preparazione della fine del trattamento, la regolazione del transfert per soddisfare le esigenze specifiche del caso, e il far uso delle esperienze di vita reale come parte integrante della terapia “(1).
Tutto ciò non lascia dubbi se “l’ora di terapia” sia del cliente o del terapeuta. è chiaramente di quest’ultimo. Le uniche capacità che il cliente sviluppa, in queste sedute terapeutiche, sono chiaramente quelle di non essere sviluppato
Il terapeuta centrato sul cliente è al polo opposto, sia teoricamente che praticamente Ha imparato che si può fidare delle forze costruttive che sono nel singolo individuo e che, quanto più profondamente sono fatte valere, tanto più profondamente vengono rilasciate. Egli si trova a costruire le sue procedure su ipotesi, che si stanno affermando rapidamente come fatti: che il cliente conosce le zone critiche che si sente pronto ad esplorare; che il cliente è il miglior giudice per quanto riguarda la frequenza più desiderabile dei colloqui; che il cliente, rispetto al terapeuta, sa il modo migliore per affrontare una profonda preoccupazione: che il cliente si protegge dal panico cessando di esplorare una zona che sta diventando troppo dolorosa; che il cliente, può e vuole scoprire tutti gli elementi repressi che è necessario portare alla luce, al fine di costruire un adattamento adeguato; che il cliente può ottenere per sé intuizioni molto più vere, più sensibili e accurate di quanto possano essere indotte in lui; che il cliente è in grado di tradurre queste intuizioni in un comportamento costruttivo che valuta i propri bisogni e desideri realisticamente rispetto a ciò che richiede la società; che il cliente sa quando la terapia è stata completata ed è pronto ad affrontare la vita in modo indipendente. Solo una condizione è necessaria perché tutte queste forze siano liberate, che si crei il giusto clima psicologico tra paziente e terapeuta.
La nostra casistica e, sempre di più, la nostra ricerca confermano queste affermazioni. Si potrebbe supporre che ci sia stata una reazione generalmente favorevole alla scoperta di tale procedura terapeutica, poiché, con essa, si potenzia alla grande l’attività terapeutica, potendo attingere a serbatoi di energia, finora, poco utilizzati. Purtroppo, però, nei gruppi professionali è accaduto il contrario. Non vi è alcun altro aspetto della terapia centrata sul cliente, che è soggetto a tale attacco vigoroso. Sembra essere davvero inquietante, per molti professionisti, accogliere il concetto che questo cliente, su cui hanno esercitato le loro capacità professionali, non solo sa, effettivamente, di sé e della propria psicologia interiore più di quello che possono sapere loro, ma, possiede, anche, forze costruttive che rendono la forza costruttiva del terapeuta fragile al confronto. La volontà di accettare pienamente questa forza del cliente, con tutto il riorientamento della procedura terapeutica che esso comporta, è uno dei modi in cui, la terapia centrata sul cliente, si differenzia più nettamente da altri approcci terapeutici.
LA NATURA DELLA TERAPIA CENTRATA SUL CLIENTE NEL RAPPORTO TERAPEUTICO
La terza caratteristica distintiva di questo tipo di terapia è la natura del rapporto che si istaura tra terapeuta e paziente. A differenza di altre terapie, in cui le competenze del terapeuta devono essere esercitate sul cliente, in questo approccio le competenze del terapeuta sono focalizzate sulla creazione di un clima psicologico in cui il cliente può lavorare. Se il counselor è in grado di creare un rapporto permeato da calore, comprensione e sicurezza che non vi sarà alcun tipo di attacco, non importa quanto banale, e in cui vi è l’accettazione della persona quale essa è, allora il cliente farà cadere il suo naturale atteggiamento difensivo e utilizzerà tale situazione favorevole. Quando ho
riflettuto sulle caratteristiche di un rapporto terapeutico di successo, ho percepito che il senso della comunicazione è molto importante. Se il cliente sente che può comunicare liberamente i suoi sentimenti presenti, che potrebbero essere superficiali, confusi, o in conflitto, e che ciò che comunica è compreso, piuttosto che valutato in alcun modo, allora è libero di comunicare più profondamente.
Quindi, una relazione terapeutica, in cui il cliente sente che può comunicare liberamente, è quasi sicuramente feconda. Tutto questo significa una drastica riorganizzazione nel modo di pensare del counselor, in particolare se ha già utilizzato altri approcci. Egli impara, a poco a poco, che l’affermazione – l’ora dell’incontro con il cliente deve essere “l’ora del cliente” – significa che il suo più grande compito è, solo, quello di renderla, sempre più, profondamente vera.
Forse, qualcosa sulle caratteristiche del rapporto, può essere suggerito da estratti di un documento scritto da un giovane ministro del culto, che ha passato diversi mesi ad apprendere le procedure del counseling-centrato sul cliente [P. 420]
“Dato che la terapia centrata sul cliente, approccio di counseling non direttivo, è stata attentamente definita e chiaramente illustrata nell’”Illusione della Semplicità”, la tecnica sembra ingannevolmente facile da padroneggiare. Poi si inizia a praticare. Una parola è sbagliata qua o la. Non si rimanda abbastanza sentimento, ma si rimanda, piuttosto, il contenuto. È difficile gestire le domande; si è tentati di interpretare. Nulla sembra così grave che non si possa correggere applicando ulteriori tecniche. Mi sorge, anche, il dubbio che, forse, ho problemi a gestire i due ruoli, quello di ministro del culto e quello di counselor. Si portano le problematiche in aula ed esse si risolvono di nuovo con una facilità ingannevole. Infatti, questi, apparentemente, minori errori e, una certa rigidità nelle risposte, sembrano estremamente persistenti.”
“Solo a poco a poco si palesa che, veramente, la tecnica richiede un senso di calore umano e di empatia. Cominci a sentire che l’atteggiamento è importante. Le parole non sono così importanti se si ha il corretto atteggiamento di accoglienza e comprensione verso il cliente. Occorre esercitare la comprensione e l’accoglienza, accogliere, quindi, e rispecchiare il cliente, anche se ciò ti imbarazza! (§) “Ma ci sono le fastidiose domande da parte del cliente. Egli semplicemente non conosce il passaggio successivo. Egli vi chiede di dargli un suggerimento, qualche possibilità, dopo tutto egli si aspetta di sapere qualcosa, altrimenti perché è qui! Come ministro del culto, dovrei avere alcune
convinzioni su ciò che la gente dovrebbe credere, come dovrebbe agire. In qualità di counselor, dovrei sapere qualcosa sulla rimozione di questo ostacolo, dovrei avere l’equivalente di un coltello da chirurgo e usarlo. Allora si comincia ad essere curiosi e a farsi domande. La tecnica è buona, ma…non sarà esagerata! funziona veramente sui clienti? È giusto lasciare una persona in difficoltà, quando le si potrebbe mostrare la via?
“Qui mi sembra che è il punto cruciale.” Stretta è la porta “e difficile il cammino da qui in poi. Nessun altro può dare risposte soddisfacenti e anche gli istruttori risultano inadeguati, perché non sembrano essere d’aiuto nel tuo caso specifico. Per questo è richiesto a te ciò che nessun altro può fare e cioè di controllare, rigorosamente, te e il tuo atteggiamento verso gli altri. Credi veramente che tutte le persone hanno un potenziale creativo in loro? che ogni persona è unica? Che ogni individuo è unico e che solo lui può realizzare la propria individualità? O, in realtà, ritieni che alcune persone sono di “valore negativo” e altre sono deboli e devono essere guidate, controllate da altri più saggi e più forti?
“Si comincia a vedere che non ci sono compartimenti stagni in questo metodo di counseling. Questo metodo non è un semplice counseling, perché esige la più esaustiva, penetrante e globale coerenza. In altri metodi hai la possibilità di definire gli strumenti, per raccoglierli ed utilizzarli all’occorrenza, ma, quando l’accoglienza autentica e la comprensione sono i vostri strumenti, si richiede, niente di meno che, il coinvolgimento completo dell’intera vostra personalità. E far crescere se stessi è la cosa più difficile di tutte “.
Ci si chiede se in questa metodologia la personalità del counselor non sia troppo sacrificata. Si conclude che questo è un concetto sbagliato. “Invece di chiedere meno della personalità del counselor nella situazione, nel counseling centrato sul cliente si richiede molto di più. Esso richiede una personalità moderata, non limitata, richiede la massima sensibilità, la capacità di comprendere. Aperto e moderato. Esige che il counselor metta queste qualità preziose nella situazione, ma in modo moderato e appropriato, nel senso che il counselor non si esprime nello stesso modo in tutte le situazioni.
“Anche questo, però, è ingannevole. Non è tanto una semplice moderazione che si richiede, in quanto si tratta di focalizzare e sensibilizzare le proprie energie e la propria personalità verso un atteggiamento di apprezzamento e di comprensione”.
Ci è voluto molto tempo per arrivare a comprendere che, lo sforzo maggiore di questo metodo, è mettere il cliente al centro del rapporto, perché esso è tanto più efficace, quanto più il counselor è completamente concentrato sul cliente, cercando di capire come il cliente percepisce se stesso.
Quando guardo indietro ad alcuni dei nostri casi precedentemente pubblicati – il caso di Herbert Bryan nel mio libro, o il caso del Sig. M. di Snyder – mi rendo conto che abbiamo, via via, abbandonato le tracce di direttività sottile che sono fin troppo evidenti in quei casi. Noi [p. 421] siamo giunti a riconoscere che, se siamo in grado di agevolare la comprensione del modo in cui il cliente percepisce se stesso in questo momento, lui può fare il resto. Il terapeuta deve mettere da parte la sua preoccupazione per la diagnosi, deve eliminare la sua tendenza a fare valutazioni professionali, deve porre fine allo sforzo di formulare una prognosi accurata, deve abbandonare la tentazione sottile di guidare l ‘individuo e deve concentrarsi su un solo scopo, quello di rimandare al cliente una profonda comprensione e accettazione degli atteggiamenti da lui consapevolmente tenuti in quel momento, poiché, il cliente, sta esplorando, passo per passo, quelle zone pericolose che sono state negate alla coscienza.
Ritengo, è evidente da questa descrizione, che questo tipo di relazione può esistere solo se il counselor è profondamente e autenticamente in grado di adottare questi atteggiamenti. Il Counseling centrato sul cliente, se vuole essere efficace, non può essere un trucco o un utensile. Non è un modo sottile di guidare il cliente facendo finta di considerarlo guida di se stesso. Per essere efficace, deve essere genuino. È questa sensibile e sincera “centralità del cliente” nella relazione terapeutica, che io considero la terza caratteristica della terapia non direttiva, che caratterizza questo approccio distinguendolo dagli altri.
ALCUNE IMPLICAZIONI
Anche se l’approccio centrato sul cliente ha avuto la sua origine esclusivamente nell’ambito della psicologia clinica, sta dimostrando di avere implicazioni, spesso di natura sorprendente, in campi molto diversi di attuazione. Indicherò di seguito alcune di queste implicazioni attuali e potenziali.
Nel campo della stessa psicoterapia, porta a conclusioni che sembrano decisamente eretiche. Appare evidente che, probabilmente, la formazione e la pratica nella terapia, dovrebbero precedere la formazione nel campo della diagnosi. Conoscenze e abilità diagnostiche non sono necessarie per una buona terapia, una dichiarazione, questa, che suona come una bestemmia per molti, però, se i vari professionisti, psichiatri, psicologi o assistenti sociali, avessero ricevuto prima una formazione nella terapia, avrebbero imparato le dinamiche psicologiche in un modo veramente funzionale, e avrebbero assunto l’umiltà professionale e la volontà di imparare dal cliente, cosa questa che è, a tutt’oggi, troppo rara.
Questo approccio sembra avere implicazioni anche per la medicina. Mi ha affascinato osservare che, quando un allergologo di primo piano, ha cominciato ad usare la terapia centrata sul cliente per il trattamento delle allergie non specifiche, ha conseguito non solo ottimi risultati terapeutici, ma l’esperienza ha coinvolto tutta la sua pratica medica. Gradualmente ha proceduto a riorganizzare le procedure del suo ufficio. Ha dato al suo infermiere un nuovo tipo di formazione, finalizzata alla comprensione del paziente.
Ha deciso che tutte le storie mediche dei suoi pazienti fossero raccolte da personale non medico, addestrato nella tecnica non direttiva, al fine di ottenere un quadro reale dei sentimenti del cliente e degli atteggiamenti verso se stesso e la sua salute, sgombro dai pregiudizi e dalla valutazione diagnostica, che è quasi inevitabile quando le storie sono raccolte dal personale medico che falsa involontariamente il materiale a causa dei giudizi prematuri. Egli ha
trovato queste storie molto più utili ai medici di quelle raccolte dai medici.
Il punto di vista centrato sul cliente ha già dimostrato di avere implicazioni significative, per il campo di indagine e di studio, nelle interviste all’opinione pubblica. L’uso di tali tecniche da parte di Likert, Lazarsfeld, e altri ha significato l’eliminazione di gran parte degli elementi di distorsione in tali studi.
Questo approccio ha anche, crediamo, profonde implicazioni per la gestione dei conflitti sociali e di gruppo, come ho sottolineato in un altro lavoro. Il nostro lavoro di applicazione della prospettiva centrata sul cliente per situazioni di terapia di gruppo, mentre è ancora nelle sue fasi iniziali, ci porta a pensare che, un’importante possibilità per la soluzione costruttiva di attriti interpersonali e interculturali nel gruppo, può essere nelle nostre mani. È in corso l’applicazione di queste procedure per gruppi di persone, gruppi interrazziali, gruppi con problemi personali e tensioni.
Anche nel campo dell’istruzione l’approccio centrato sul cliente sta trovando applicazioni significative. Il lavoro di Cantor, la cui descrizione sarà presto pubblicata, è eccezionale in questo contesto e molti insegnanti stanno scoprendo che questo metodo, progettato per la terapia, può produrre un nuovo tipo di processo educativo, un apprendimento autonomo, che è altamente auspicabile e, anche, un riorientamento del senso individuale, che è molto simile ai risultati della terapia individuale o di gruppo.
Anche nel campo del nostro orientamento filosofico, l’approccio centrato sul cliente, ha le sue implicazioni profonde. Accennerò, brevemente, a questo tema attingendo da un mio precedente lavoro. “Come abbiamo esaminato e, cercato di valutare, nella nostra esperienza clinica con la terapia centrata sul cliente, (p. 422) il fenomeno della riorganizzazione degli atteggiamenti e il riorientamento dei comportamenti da parte dell’individuo, assume un’importanza sempre maggiore. Questo fenomeno sembra trovare una spiegazione inadeguata nel determinismo, che fa da sottofondo filosofico predominante della maggior parte del lavoro psicologico. La capacità dei singoli di riorganizzare i propri atteggiamenti e comportamenti in modi non determinati da fattori esterni e da elementi precedenti nella propria esperienza, ma determinati dalle proprie intuizioni rispetto a tali elementi, è una capacità impressionante. Si tratta di una spontaneità di base, che siamo stati restii ad accogliere nel nostro pensiero scientifico.
Dall’esperienza clinica si evince che, i comportamenti dell’organismo umano, possono essere determinati dalle influenze alle quali è stato esposto, ma possono anche essere determinati dall’intuizione creativa e integrativa dell’organismo stesso. Questa capacità della persona di scoprire un nuovo significato nelle forze che incidono su di lui e nelle esperienze passate di cui ha preso coscienza, e la capacità di modificare consapevolmente il proprio comportamento alla luce di questo nuovo significato, ha, per il nostro pensiero filosofico, un senso profondo che non è stato pienamente compreso.
Abbiamo bisogno di rivedere la base filosofica del nostro lavoro nel punto in cui può ammettere che, le forze esistenti all’interno dell’individuo, possono esercitare un’influenza spontanea e significativa sul comportamento, che non è prevedibile attraverso la conoscenza di precedenti influenze e condizionamenti. Le forze rilasciate attraverso un processo catalitico di terapia, non sono adeguatamente spiegate dalla conoscenza dei condizionamenti precedenti dell’individuo ma, possono essere adeguatamente spiegate solo se ammettiamo la presenza di una forza spontanea dentro l’organismo, che ha la capacità di integrazione e reindirizzamento Questa capacità di controllo volitivo è una forza che dobbiamo prendere in considerazione in ogni fenomeno psicologico (9). Così, ci troviamo di fronte ad un approccio, che ha avuto inizio solo come un modo di affrontare i problemi di disadattamento umano e che, ci costringe, ad una rivalutazione dei nostri concetti filosofici di base.
CONCLUSIONI
Mi auguro che, in tutto questo lavoro, sono riuscito a trasmettere la mia convinzione che ciò che ora sappiamo, o crediamo di sapere, circa l’approccio centrato sul cliente è solo un inizio, solo l’apertura di una porta oltre la quale si cominciano a vedere alcune strade molto impegnative, alcuni campi ricchi di opportunità. Sarà compito delle nostre esperienze cliniche e della ricerca, che punta in avanti, tenere conto delle possibilità nuove ed entusiasmanti che derivano da questo nuovo approccio.
Eppure, qualunque sarà lo svolgimento futuro, appare già chiaro che si tratta di materiale di natura nuova e significativa, che richiede la massima apertura mentale e l’esplorazione approfondita. Se le nostre formulazioni attuali sono corrette, allora dovremmo dire che alcuni elementi importanti già si evidenziano e cioè, che certe attitudini e competenze di base dei professionisti della relazione di aiuto, sono in grado di creare un clima psicologico che libera e utilizza le forze situate nel profondo del cliente; che queste forze e capacità sono più sensibili e più robuste di quanto sinora supposto; che esse vengono rilasciate in un processo ordinato e prevedibile; fatto, questo, che potrebbe rivelarsi significativo e basilare nelle scienze sociali, come lo sono alcune leggi e processi prevedibili nelle scienze fisiche.
SELECTED REFERENCES
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NOTE
[1] Paper given at a seminar of thè staffs of thè Menninger Clinic and thè Topeka Veteran’s Hospital, Topeka, Kansas, May 15, 1946.
[*] Classics Editor’s note: Sometimes Rogers hyphenates this term, and sometimes not. I have rendered it as he does at each instance. Sometimes Rogers hyphenates this term, and sometimes not. I have rendered it as he does at each instance.
[§] Classics Editor’s note: Rogers is inconsistent in his use of quotatìon marks in this passage. Rogers è incoerente nel suo uso delle virgolette in questo passaggio.
COMMENTO: IMPRESSIONE DI UN SOLE CHE SORGE
di Renata Cancellari
Ho voluto dare il titolo “Impressione di un sole che sorge” al commento a questo articolo di Carl Rogers, che ho avuto occasione di tradurre dalla lingua originale, derivandolo dal titolo del celebre quadro di Monet, che ha segnato l’inizio della corrente impressionista, perché, come Monet; Rogers, abbandonando precostituite impalcature mentali, ha avuto il coraggio di vedere la realtà come essa appare, oltre il velo delle proprie proiezioni intellettive. Questa visione limpida, questo sole che sorge, appunto, ha permesso loro di dare inizio ad una nuova era.
Monet nel campo dell’arte, ha gettato le basi dell’arte moderna e Rogers, nel campo della psicologia, ha dato vita ad una nuova moderna gestione della relazione terapeutica. Egli “fu il primo a democratizzare la relazione terapeutica e ad indicare che la qualità di tale relazione determina i risultati di ogni psicoterapia, divenendo, in tal modo, il primo a teorizzare e poi fare ricerca su quella che diventerà, in seguito, la teoria dei fattori comuni nelle psicoterapie e cioè che, come tutte le ricerche mostrano, l’alleanza terapeutica è la maggiore variabile predittiva del successo di ogni psicoterapia (Maurizio Mottola, Conversazione su Carl Rogers e la psicoterapia, I parte, Nuova
Agenzia Radicale – 04/05/07).
Questo credo sia uno dei più importanti sviluppi del suo approccio centrato sul cliente, “la possibilità nuova ed entusiasmante” da lui preconizzata, in quanto ormai, è un dato di fatto, confermato dalla ricerca, che, qualunque sia l’approccio psicologico che il professionista adotta nella relazione d’aiuto, instaurare con il cliente un rapporto avente le caratteristiche rogersiane e cioè, empatico, accogliente e non giudicante, è di per sé, comunque, fonte di sostegno al cambiamento.
Rogers, inoltre, dalla sua esperienza terapeutica e dalla sua predisposizione ad accogliere il “vero”, ha derivato alcuni principi fondamentali, che hanno dato vita, negli anni 50/60, alla corrente della psicologia umanistica, di cui è uno dei padri fondatori. Tale corrente evidenzia l’importanza delle risorse e delle potenzialità insite in ogni individuo e sostiene, in contrapposizione al determinismo e al meccanicismo dei due orientamenti predominanti in quegli anni, la psicoanalisi ed il comportamentismo, che no sono le pulsioni istintuali a motivare il soggetto, ma il bisogno di conoscere, esprimersi, avere relazioni gratificanti, ed auto realizzarsi.
Questo articolo, scritto da Carl Rogers nel 1946, è molto importante per comprendere lo sviluppo del pensiero rogersiano, il suo modo di procedere nella ricerca tesa a mettere a punto gli elementi costitutivi del suo approccio terapeutico, non direttivo e centrato sul cliente “a costruire le sue procedure su ipotesi, che si stanno affermando rapidamente come fatti”. In particolare, in questo articolo, vuole sottolineare gli aspetti in cui il suo approccio si differenzia più nettamente da altre procedure terapeutiche. È, quindi, un articolo in itinere, che si situa tra il suo precedente testo del 1942, “Psicoterapia di consultazione”, prima opera sistematica sulla professione di Counselor, “in cui è riportato” gran parte del materiale di base del processo della terapia non direttiva, le tecniche e le procedure di counseling” ed il testo fondamentale del 1945 “La Terapia Centrata sul Cliente”, manifesto del suo pensiero, in cui vengono ampliate le tematiche già affrontate nel precedente libro e in cui vengono divulgate le ricerche effettuate, di pari passo con l’esperienza clinica, nel Counseling Center, da lui fondato nel 1944.
L’occasione che ho avuto di tradurlo mi ha dato, non solo l’opportunità di avvicinare direttamente uno scritto di Rogers e di soffermarmi a riflettere sulla profondità del suo pensiero, celato dietro un’apparente semplicità, ma anche di prendere contatto con le sue parole originali. Man mano che traducevo esse mi guidavano verso una comprensione sempre più profonda, stratificata, dei concetti espressi, con un movimento circolare che, partendo dalla linearità della descrizione, mi ha condotto a quello che ho percepito come il cuore della tematica Rogersiana, il motore di tutta la sua ricerca e di tutto il suo approccio terapeutico e, cioè, la sua fede, la sua “netta e rispettosa fiducia nelle forze
costruttive dentro il cliente…forze di crescita, le tendenze all’autorealizzazione”, una fede così totale in loro che lo portano a dichiarare che esse “…possono agire come unica motivazione della terapia”.
Questo movimento circolare, che come in un mandala ci conduce gradualmente verso il centro di energia, che sorregge tutto il sistema, la fede dell’uomo nell’uomo, appare subito evidente nella descrizione dei tre elementi individuati come caratterizzanti il suo approccio terapeutico. Infatti, sebbene ponga al primo posto la prevedibilità dello sviluppo terapeutico, al secondo le capacità del cliente, al terzo il tipo di relazione che si istaura con lui, quello che è stato posto come secondo elemento, la scoperta delle capacità del cliente, è l’elemento centrale, rispetto al quale il primo è una conseguenza e il terzo è una condizione.
A conferma di ciò cito le parole di Rogers che, per quanto riguarda la prevedibilità del processo terapeutico, dichiara:” Fondamentalmente, la ragione della prevedibilità del processo terapeutico, sta nella scoperta… che dentro il cliente risiedono forze costruttive, la cui potenza e uniformità sono state del tutto, o non riconosciute, o grossolanamente sottovalutate” e per quanto riguarda la natura del rapporto che si istaura tra paziente e terapeuta, egli dichiara che:” Queste forze si dispiegheranno se le competenze del terapeuta sono focalizzate sulla creazione di un clima psicologico in cui il cliente può lavorare” e che il tipo di relazione che si istaura tra cliente e terapeuta è importante perché le forze” … sono liberate spontaneamente nell’individuo che si trovi in un ambiente psicologico adatto”.
La centralità è confermata dal fatto che dal loro riconoscimento deriva il nome dato all’approccio “È dal graduale e crescente riconoscimento di queste capacità all’interno dell’individuo… che, credo, derivi la scoperta del termine terapia-centrata sul cliente”. Per Rogers queste forze possono guidare la persona a guarire dal disagio psichico, a crescere e a sviluppare in pieno il proprio potenziale, condurla alla autorealizzazione, che è molto di più di un
adattamento alla realtà, ma è l’esplicazione della propria vera, unica, originale, essenza. Egli ritiene che la malattia psichica è una distorsione dello sforzo che l’individuo compie per attuare le sue potenzialità quando l’energia, che lo spinge naturalmente verso ciò che è bene per lui, viene ostacolata dai problemi sorti nel momento dello sviluppo della personalità.
Gli introietti disfunzionali, e cioè idee, pensieri e sentimenti degli altri non funzionali al proprio vivere, gli accadimenti traumatici che hanno creato o creano ansie e tensioni, l’essere sulla difensiva, bloccano la sana spinta della persona verso il suo bene ed essa perde il contatto con se stessa e con la sua autenticità. Compito del terapeuta è quello di mettere questa forza in condizione di agire per eliminare questi ostacoli. Queste forze agiscono nell’individuo in un modo intelligente “in un modo che non provoca dolore, e alla profondità giusta per un tranquillo adattamento…e lo conducono ad “…esplorare le sue attitudini e i suoi sentimenti, compresi quelli che sono stati negati alla
coscienza… il cliente, sta esplorando, passo per passo, quelle zone pericolose che sono state negate alla coscienza. Queste affermazioni di Rogers nel descrivere il modo di agire delle potenzialità del cliente, che “la nostra casistica e, sempre di più, la nostra ricerca confermano”, mi sembra sfatino una delle critiche più comuni rivolte al suo metodo e cioè che non tenga conto dell’inconscio.
La presenza di queste forze nel cliente è venuta in rilievo a molti professionisti della relazione d’aiuto ma, ciò che li differenzia da Rogers, è che essi hanno dato loro una fiducia molto relativa, nel senso che le hanno utilizzate per indirizzare verso la direzione che ritenevano più giusta e salutare per il cliente, non potendo ammettere che “a differenza di altre terapie, in cui le competenze del terapeuta devono essere esercitate sul cliente, in questo approccio le competenze del terapeuta sono focalizzate sulla creazione di un clima psicologico in cui il cliente può lavorare.
Nell’approccio rogersiano, infatti, il terapeuta non interviene più, non vuole intervenire con “l’uso consapevole di tecniche diverse in modo flessibile, cambiando, cioè, le tattiche per adattarsi alle particolari necessità del momento” ma “utilizza solo le procedure e le tecniche di colloquio atte a trasmettere la sua profonda comprensione degli atteggiamenti emotivi espressi e la sua accettazione di essi.”
Quindi, non è solo il riconoscimento di queste forze che caratterizza il terapeuta centrato sul cliente, ma il fatto che egli “ha imparato che si può fidare delle forze costruttive che sono nel singolo individuo e che, quanto più profondamente sono fatte valere tanto più profondamente vengono rilasciate” per cui la posizione di base del terapeuta è che egli ha fiducia in questa forza, una fiducia molto importante per il buon risultato della terapia, in quanto da essa dipende la fiducia del cliente nelle proprie capacità “… Si tratta di una fiducia di cui i clienti possono farsi carico, se guidati da un esperto, una fiducia che il cliente può assimilare per intuizione se è, in primo luogo,
data a lui da parte degli esperti in materia”.
Il terapeuta non solo deve avere fiducia ma, anche, saper rimandare questa fiducia al cliente, che così rinforza la propria. A tal fine Rogers, come uno scienziato, ha definito le caratteristiche che pongono in atto il clima psicologico giusto per permettere la valorizzazione del materiale umano. Egli descrive minuziosamente quali sono gli atteggiamenti da tenere perché ciò avvenga: empatia, accoglienza, atteggiamento non giudicante e il profondo convincimento che ognuno è responsabile della propria vita e, non ultimo, il rispetto di questa responsabilità. Questi atteggiamenti, per essere efficaci devono essere genuini, profondamente radicati nella personalità del counselor, che è chiamato, quindi ad un continuo percorso individuale verso il disvelamento della propria autenticità “…il counselling centrato sul cliente, se vuole essere efficace, non può essere un trucco o un utensile. non è un modo sottile di guidare il cliente facendo finta di considerarlo guida di se stesso, per essere efficace, deve essere genuino “…per cui oltre “le competenze di base occorre possedere certe attitudini”.
Le domande e i dubbi, che sorgono ad applicare tale approccio, vengono chiaramente poste e riportate nell’articolo da un praticante di questo metodo, che ci dice come in teoria “la tecnica sembra ingannevolmente facile da padroneggiare” ma poi, nella pratica, ci si accorge che “si tratta di focalizzare e sensibilizzare le proprie energie e la propria personalità verso un atteggiamento di apprezzamento e di comprensione”.
Un approccio in cui l’unica certezza che si ha è confidare nell’azione della forza rigeneratrice del cliente, senza intervenire a indirizzarla verso la via che si ritiene più giusta applicando una tecnica e anche un’altra, in cui non hai, come in altri metodi “la possibilità di definire gli strumenti, per raccoglierli ed utilizzarli all’occorrenza, ma… l’accoglienza autentica e la comprensione sono i vostri strumenti, si richiede, niente di meno che, il coinvolgimento completo dell’intera vostra personalità” e ti porta a controllare, rigorosamente, te e il tuo atteggiamento verso gli altri” a porti degli interrogativi su ciò che credi nel più profondo del tuo essere, se “credi veramente che tutte le persone hanno un potenziale creativo in loro… che ogni individuo è unico e che solo lui può realizzare la propria individualità…o, in realtà, ritieni che alcune persone sono di “valore negativo” e altre sono deboli e devono essere guidate, controllate da altri più saggi e più forti?” Un approccio terapeutico in cui il counselor è chiamato ad interrogarsi continuamente su se stesso, per verificare se le tecniche che mette in atto sono parte del suo essere e si rispecchino nel suo stile di vita.
In sintesi, dunque nell’approccio rogersiano tutto ruota intorno al riconoscimento di queste forze e, ancor più profondamente, come già detto, nella fede in loro del terapeuta centrato sul cliente. Un approccio terapeutico la cui costruzione può essere letta come un percorso di fede, non dogmatico ma aperto e sperimentale, di una terapeuta coraggioso che, abbandonandosi al corso della sua’esperienza clinica, e accogliendo ciò che emergeva dai vari casi trattati, ha spostato l’attenzione del lavoro psicoterapeutico dalla risoluzione del problema al facilitare l’emersione delle risorse interiori dell’individuo.
Una fede incrollabile nella natura fondamentalmente buona e sana delle persone e nella forza rigeneratrice situata nel profondo di ognuno, ma anche fattiva, nel senso che egli studia metodi e tecniche perché ciò in cui crede possa incarnarsi e, per vincere il dubbio e continuare a credere, sottopone tutti gli elementi del suo approccio “…all’indagine scientifica …ad una verifica o smentita dei metodi di ricerca”.
Ho detto terapeuta coraggioso perché Rogers, per realizzare ciò in cui crede, e cioè che le forze del cliente possono agire come unica motivazione alla terapia, rinuncia ad avere il controllo nel rapporto terapeutico, non progetta più la strada in anticipo per raggiungere una meta stabilita in base alle sue competenze diagnostiche, ma costruisce un approccio tutto giocato nel presente della relazione, in cui la strada si rivela vivendola.
Allora mi sembra che, se si vuole utilizzare l’approccio rogersiano in modo totale ed autentico, come counselor o terapeuti occorre avere la totale fede di Rogers nella “Persona”, perché, altrimenti, “si stenta ad aver fiducia nelle direzioni che prende il cliente” ed occorre avere, come lui stesso dice, oltre “le competenze di base” anche “certe attitudini” per creare il clima psicologico giusto”, che immagino significhi la sua stessa predisposizione umana all’empatia all’accoglienza, al non giudizio. Quindi, fede e attitudine come elementi di base e, poi, solo successivamente, entra in gioco anche la volontà” la volontà di accettare pienamente questa forza del cliente” abbandonando l’uso di altre tecniche.
Sicuramente, qualunque sia l’approccio terapeutico che si usa, istaurare una relazione con il cliente con le caratteristiche rogersiane è, come detto all’inizio, sempre consigliabile e, inoltre, ritengo che Rogers sia un terapeuta che vale la pena di conoscere ed approfondire, per avere ispirazioni salutari, sia come persone che come professionisti della “relazione d’aiuto”.
In conclusione, e per dimostrare che ogni esperienza di fede autentica si dilata e agisce anche a livello comunitario, per un servizio e una responsabilità sempre più ampia, vorrei sottolineare lo sviluppo che ha avuto la tecnica di Rogers per dirimere i conflitti internazionali. Nell’articolo egli dice che il suo approccio sta dimostrando di avere implicazioni anche in ambiti diversi dalla psicologia clinica e “ha anche, crediamo, profonde implicazioni per la gestione dei conflitti sociali e di gruppo… È in corso l’applicazione di queste procedure per gruppi di persone, gruppi interrazziali, gruppi con problemi personali e tensioni.” applicazione che sfocerà, alla fine degli anni ’60, nell’ “Istitute of pace”, istituto fondato da Rogers, insieme ad alcuni colleghi, per lo studio e la risoluzione di conflitti.
Qui egli ha svolto, basandosi sul suo approccio, lavoro di prevenzione e gestione dei conflitti con i rappresentanti di numerosi gruppi in posizione di contrasto in varie parti del mondo. A seguito di questa sua attività pacifista, nel gennaio del 1987 viene candidato per il premio nobel per la pace, candidatura che non ebbe seguito poiché, il mese successivo, il 4 febbraio 1987, Carl Rogers muore, per un attacco cardiaco, a 85 anni.